Sentiero CAI 410
(Bueggio - Diga del Gleno - Passo di Belviso)

Scritto il: 23/06/1994
Aggiornato il: 21/06/1995-09/2000
   

Zoom
Clicca per ingrandire

SCHEDA:  
Numero CAI: 410
Altre numerazioni: Nessuna
Nome o soprannome: Nessuno
Partenza: Bueggio 1065 metri
Arrivo: Passo di Belviso 2518 metri
Dislivello: 1453 metri
Tempi parziali: Alla diga ore 1.15
Tempo totale: ore 4
Lunghezza:  
Periodo consigliato: giugno - ottobre
Difficoltà: EE - Escursionismo medio
Attrezzatura: In primavera è utile una piccozza
Note naturalistiche: Nel primo tratto si attraversa un interessante giacimento di "marmitte dei giganti".
Buona la presenza d'animali.
Note tecniche: Nella parte alta è facile incontrare la nebbia, con la possibilità di perdere il sentiero.
Note storiche: I ruderi della diga testimoniano il disastro provocato dal crollo della stessa il 1° dicembre 1923. Con il crollo della parte centrale dello sbarramento si abbatterono, sulla Valle, sei milioni di metri cubi d'acqua, provocando la morte di centinaia di persone.
Bivi ed incroci: Alla diga del Gleno termina il sentiero CAI 411 (Pianezza - diga del Gleno).
Poco prima del Passo di Belviso c'è il bivio per il sentiero CAI 322 (Passo Bondione - rif. Curò).
Al passo si incrocia il sentiero CAI 416 (Passo di Belviso - Rifugio Tagliaferri - Passo Vivione)

DESCRIZIONE:

All'incrocio fra la strada che conduce a Oltrepovo, frazioni di Vilminore e quella che porta al centro del borgo di Bueggio, sulla destra, c'è un piccolo piazzale asfaltato (privato). Il sentiero inizia in questo punto, attraversando il piazzale e proseguendo inizialmente fra alcune abitazioni e incrocia, poco più avanti, una mulattiera, caratterizzata da un muro a secco che, salendo verso destra, attraversa dei prati. Si prosegue in leggera pendenza, attraversando una valletta su un ponte di legno nel punto in cui fa bella mostra di sé un muraglione in pietra a secco che caratterizza questo tratto di mulattiera immersa in un'abetaia, da cui emerge, verso monte, un prato. In prossimità di una depressione, la mulattiera finisce e si trasforma in un semplice sentiero, cambia anche il bosco e all'abete rosso si sostituiscono i noccioli e i salici.
Una breve salita permette di scavalcare un promontorio, sul cui culmine si incrocia un sentiero, e con una breve discesa si arriva quasi sul greto del torrente, nel punto in cui il sentiero ridiventa una mulattiera scavata nella viva roccia. La zona è nota localmente come "Ponte del Gleno" per la presenza, fin dai tempi più remoti, di un ponte che attraversa il torrente. Prima del ponticello (cartello indicatore) si riprende a salire fra rocce levigate dall' azione delle passate glaciazioni entrando nuovamente nel bosco, con una serie di curve, e al secondo tornante si può notare un tratto di lastricatura della vecchia mulattiera. Quattro tornanti permettono di guadagnare agevolmente quota e sono seguiti da un pezzo quasi pianeggiante in cui sono evidenti i sassi impiegati per la sistemazione del fondo del sentiero. Superato un torrente, affluente del Povo, si prosegue nel bosco che, lentamente, tenta di colonizzare una ganda di verrucano lombardo, la roccia che caratterizza questa località. Nel tratto successivo è presente, sulla sponda verso valle, un ammasso di sassi disposto per rendere agibile il sentiero e formare, al contempo, una specie di muro protettivo. Anche lungo questo frammento di sentiero si può ancora osservare l' antica selciatura.
Dopo un tornante, si attraversa una piccola ganda dove, anche in questo caso, i sassi sono stati ammucchiati a formare un muro. Seguono due stretti tornanti ed un tratto comodo, caratterizzato da due massi; uno levigato dal ghiacciaio, l'altro tagliato dall'uomo per aprire il sentiero. All'altezza di un successivo masso scende, sulla destra, una traccia di sentiero: è una scorciatoia da non seguire. Il nostro percorso prosegue quasi in piano, quindi compie un tornante e passa ancora fra cumuli di sassi ai piedi dei quali si possono osservare nuovamente i resti della bella selciatura di un tempo. Seguono ancora due tornanti e, all'altezza di una piccola ganda, s'incrocia il sentiero che proviene dalla frazione Nona, attraversando poi, in piano, una valletta formata da una sorgente e, da questo punto, attraverso il bosco ormai rado, si può osservare il Pizzo di Pianezza e il sentiero, proveniente dall'omonima frazione, che conduce ai ruderi della diga. Dopo una breve salita si guada una valletta in cui scorre acqua in abbondanza e successivamente una seconda salita permette di superare una costa, a picco sulla valle, da cui sono visibili i tronconi dei ruderi della diga (1).
Si procede ora quasi in piano e, guardando la valle, si possono vedere alcune marmitte dei giganti, caratteristici invasi nella roccia. In pochi minuti, passando su dei massi lavorati dal lento sfregamento dei ghiacci e delle acque, si arriva all' ampio squarcio causato dal crollo della diga, continuando in direzione NE, quasi in piano, e aggirando il laghetto artificiale sulla sinistra e attraversando una zona di detriti, si punta alla baita di Malga bassa di Gleno, 1557 m.
Lasciata sulla destra la baita, un pò malconcia, si comincia a salire con ampi tornanti per scavalcare un dosso, scendendo poi leggermente fino al greto del torrente ed in questo punto si attraversa un ruscello affluente di sinistra del Povo. Passato uno spiazzo erboso, si supera un altro torrente e proseguendo, ci si allontana sempre più dal greto del ruscello. Alcuni stretti tornanti permettono di scavalcare un altro dosso, oltre il quale si apre l'ampio pianoro dell'alpe di mezzo dove, sullo sfondo, si presenta, grandioso, lo scenario che mostra l'ultimo tratto di salita su cui troneggia il Monte Gleno (metri 2882). Si torna, per un breve tratto, sul greto del torrente e da qui, con lieve pendenza, dirigendo a N, verso la baita di Mezzo (3), si possono notare delle rocce levigate e segnate profondamente dall'azione abrasiva del ghiaccio che occupava la vallata fino a circa 10.000 anni fa.
La baita, che raggiungiamo poco dopo, con annesso un piccolo ricovero per le bestie, è stata recentemente ristrutturata ed è posta al centro dell'ampio pianoro, a quota 1818 metri. Sulla sinistra è visibile il vecchio recinto in pietra (barek) e, appena sopra, vi sono i ruderi di una baita con muri a secco. Di fronte alla costruzione, su di un promontorio oltre il torrente, c'è un masso erratico, probabilmente deposto in quel luogo dal ghiacciaio.
Si prosegue ora, sempre in direzione N, attraverso un bel prato pianeggiante dove sono visibili parecchi mucchi di sassi accatastati per bonificare il pascolo; si passa, in fondo a questa ampia spianata, un altro torrente che scende dalle pendici del Monte Gleno e si risale poi un piccolo pianoro al cui limitare, sulla destra sopra un promontorio, sono visibili i ruderi dell'ex Rifugio Bissolati. Il rifugio era una costruzione di 6.80X8.20 m. disposto su due piani. Costruito a cura della sezione del CAI di Cremona ed intitolato all'On. Leonida Bissolati, socio della sezione, fu inaugurato nel settembre 1922 e distrutto, da una valanga, nella primavera del 1925.
Poco sopra i ruderi del rifugio c'è una piccola depressione che qualcuno identifica come una vecchia reglana, forno per la torrefazione del minerale ferroso. Ancora più sopra, sulla destra, c'è il muro di un ricovero di fortuna.
Lasciato il piano, il sentiero si inerpica, ripido, fino a ridosso delle rocce che delimitano il terzo grande terrazzamento che ospita l'ultima stazione dell' alpeggio di Gleno. Le rocce sono agevolmente superate con un tracciato parzialmente ricavato nella viva roccia; in alcuni punti si possono ancora notare i resti della vecchia lastricatura e i muretti a secco, eretti per formare dei tornanti. Si esce in vista del bel recinto in pietra antistante la terza baita e si prosegue dirigendosi verso quest'ultima. La baita alta di Gleno, a quota 2088 m, è una costruzione in mediocre stato d'uso, costituita da un unico locale, sempre aperto che lasciamo sulla sinistra, senza attraversare il ruscello che scende nei pressi, riprendendo a salire in direzione NNE.
Poco sopra si incontra un piccolo fontanile e, a breve distanza, si attraversa un ruscello, spostandosi sulla destra e rimontando un cocuzzolo erboso che immette in un avvallamento. A tre quarti del vallone, che si risale stando a ridosso delle roccette, si gira a sinistra, in direzione W giungendo ad un caratteristico ometto di pietra, importante crocevia. Proseguendo verso W, si sale al valico denominato Tacca di Bondione da cui si può scendere al rifugio Curò (1). Dirigendosi, invece, verso NE, si prosegue lungo il percorso intrapreso e si può scorgere l'intaglio del passo di Belviso, la nostra meta. Guardando verso Nord, si osserva il canalone che costituisce la via "normale" di salita al Monte Gleno dal versante scalvino.
Procedendo verso Belviso si risale un primo tratto erboso con ampie giravolte, quindi si piega a sinistra, per evitare un promontorio e si entra in un valloncello che si percorre a mezza costa, uscendo in una conca pietrosa che, fino a tarda stagione, è coperta di neve. La conca è chiusa a N dalla cresta che scende dalla vetta del Monte Gleno, quindi dal Passo di Belviso (4), che si vede poco sopra a NE mentre, guardando verso est, si vede l'intaglio formato dalle quote 2632 e 2607, denominato Passo dei Lupi, quota 2520 m. Si risale l'ultimo pendio, faticoso in quanto costituito da sfasciumi, restando vicino alle rocce sulla sinistra ed in breve si arriva al valico.
Dal Passo di Belviso, verso N, si scorge il Passo Grasso di Pila con sotto le costruzioni di malga Pila, mentre, più in basso, si vede il bacino del lago di Belviso o diga di Frera (5). Proseguendo verso Est, aggirando sul versante valtellinese il cocuzzolo di quota 2632, si raggiunge il Rifugio Tagliaferri. Allo stesso si può arrivare seguendo il percorso della mulattiera militare che saliva al Passo dei Lupi, da cui, con breve discesa in direzione NE, si giunge al rifugio.
(La valle del Gleno (2))

(1) Salita alla Tacca o passo di Bondione.
Un'alternativa al nostro itinerario può essere la salita alla Tacca di Bondione che vediamo dall'ometto in pietra guardando di fronte, verso nord.
Giunti sul dosso, dove è posto l' ometto in pietra, si lascia il sentiero CAI 410, che sale in direzione NNE, e ci si dirige verso NW, scavalcato un primo avvallamento, bisogna proseguire quasi in piano superando una seconda valle, scavalcando successivamente un promontorio e una zona caratterizzata da sfasciumi con grossi massi di frana. S'inizia a salire, puntando ad un evidente sperone di rocce rossastre dove s'incrocia il sentiero CAI 416 o CAI 316 (le due segnature convivono). La salita continua superando delle facili roccette bagnate, i problemi possono porsi a primavera o in autunno per la presenza di ghiaccio, e attraversato un canale di valanga, si guadagna un promontorio erboso.
Superato, successivamente, un secondo canale, con un tratto pianeggiante, si giunge sul bordo di una profonda valle solcata da un ruscello, riprendendo, ora, la salita, e puntando all'evidente intaglio che si vede verso ovest. All'altezza di grossi massi detritici, s'obliqua verso sinistra, attraversando la valle per giungere nel centro del pendio erboso, nei pressi di un evidente solco vallivo verdeggiante, che si sale con stretti e ripidi tornanti, puntando alla fascia rocciosa soprastante.
Poco sotto le rocce s'obliqua a destra fino ai piedi del canalino che scende dall'intaglio risalendo questo colatoio, con facili rocce, in breve si giunge al passo, metri 2659.

Menu sentieri

www.scalve.it