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La terra, il pascolo, il coltivo

L'allevamento, la pastorizia

Il bosco e i boscaioli

Lino, canapa, lana

La vita quotidiana

Economia e vita familiare

La popolazione

Il documento fotografico

Gli artigiani "forestieri"

I carrettieri

La ruota

La miniera e i  minatori

I forni fusori

Falegnami e carpentieri

Il mulino

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La caccia

Gli emigranti 

                                       

Museo Etnografico

MUSEO ETNOGRAFICO DI SCHILPARIO

Orari: Tutti i giorni dalle 9,00 alle 12,00 e dalle 13,00 alle 17,30
tel. 0346 55393

LA VITA QUOTIDIANA

La vita quotidiana è intessuta di molteplici aspetti, oltre a quelli più stretta- mente inerenti alla sfera dell'economia domestica. Gli oggetti e le immagini di questa sezione suggeriscono alcuni, senza pretendere di rappresentarli tutti. Profonde, ricorrenti, complesse, sotto l'apparente semplicità, le forme della religiosità popolare, espressa sia dentro che fuori dai confini più strettamente ecclesiastici e sempre dense di significati, che si fondono fino a suggerire tutta una visione dell'uomo e della vita e dei suoi rapporti con quanto lo circonda: non è quindi l'ingenuità che caratterizza queste espressioni di religiosità popolare ma piuttosto la capacità di riplasmare elementi culturali di antichissima origine con i significati liturgici e di adattarli di volta in volta all'evento improvviso o al fluire della quotidianeità. Sono qui prodotti due ex voto tra i tanti che si raccoglievano nella Chiesa di S. Elisabetta ed esposti gli strumenti che si usavano il venerdì santo: crì, tacula e coren (è il corno del capraio che in quest'occasione svolge una funzione diversa rispetto all'uso quotidiano). Non conosciamo l'esatta origine della croce di ferro - presumibilmente era dedicata a un soldato caduto nelle guerre di indipendenza - nè le vicende attraverso le quali quest'oggetto, forse fuori dalla sua originaria destinazione, giunse a essere collocato sul tronco di un albero, ai Fondi, là dove terminava la strada degli strusì. In questa collocazione la croce collegata anche al toponomastico "Li Crus de Cap", che indicava un tratto più a monte della stessa via percorsa dai trasportatori di minerale, diventa segno emblematico del pericolo che inconbeva su questi lavoratori nel periodo invernale e insieme ricordo di quanti di loro avevano trovato la morte sotto le valanghe: un numero imprecisato e imprecisabile ma che rimane grande e terribile nella me- moria della gente, un "emporio di morti". A una dimensione più consueta e per tanti versi rassicurante della vita domestica ci riportano gli oggetti legati all'attività tradizionale assegnata alle donne, il cucito e il ricamo, in cui esse devono dar prova di abilità ritenute necessarie, segno e compendio delle "virtù femminili", ma altrettanto spesso contrapposte ai valori " maschili " della forza e della resistenza fisica. Accanto alla lucerna a olio (lum), alla lampada a petrolio (luserna), ai ferri da stiro e ad altri oggetti per il cucito e il ricamo, spicca un corpetto da sposa che risale al 1876. I ricami di seta testimoniano l'abilità delle donne, che sin dall'età di dieci-dodici anni si impratichivano nel cucito e nel ricamo. Sopra il corpetto, la sposa indossava un foulard di lana dai colori vistosi, le cui punte, incrociate sul petto, venivano inserite nella gonna a pieghe, lunga sino alla caviglia. Alla gonna si sovrapponeva un grembiule nero di seta, mentre il capo era coperto da un ampio scialle nero - sempre di seta - con lunghe frange. L'abito nuziale veniva donato dal marito, insieme all'anello e a un paio di orecchini: allo sposo e al testimone la sposa regalava una camicia bianca, da indossare il giorno del matrimonio. Al sacerdote che celebrava il rito veniva regalato un fazzoletto di lino. Due oggetti richiamano la cura dell'infanzia: la culla di legno e l'andarì, che sorreggeva i primi passi del bambino. I giocattoli dei bambini sono ancora una volta prodotti " autarchicamente", qualche volta dagli adulti, più fraquentemente dagli stessi fruitori: il cerchio (sercol), la fionda (tiracorne), la cerbottana (schitacòl), il carrellino (carilì), la bambola di pezza (pua) fatta in casa. Immancabile, nell'educazione alla parsimonia, il salvadanaio (musina). Le immagini fotografiche (di Luigi Bonomi e Stefano Magri) ci ricordano però che il gioco non è l'attività prevalente dei bambini, impegnati a loro volta nel lavoro che è richiesto a tutti i membri della famiglia: qui è la raccolta della legna, ma per tanti ragazzi cominciava molto presto un'esperienza ben più faticosa, quella del lavoro in miniera. Anche queste immagini, dunque, ci riportano a riflettere sulla continua presenza dell'economia familiare, che va oltre le mura di casa e le cure domestiche, innestandosi constantemente nelle attività produttive della valle, a prevalente occupazione stagionale: è il circolo che tende continuamente a riformarsi e a richiudersi, a difendere e a difendersi. Si può capire perchè questo quadro può oggi suscitare nostalgia, ma non si può condividere la pratica consolatoria di cui viene rivestito: è una proiezione deformante dal punto di vista storico, che snatura la stessa conservazione della memoria collettiva: questo equilibrio non è mai stato un idillio, ma una dura necessità.

Profonde, ricorrenti, complesse, sotto l'apparente semplicità, le forme della religiosità polare, espressa sia dentro che fuori dai confini più strettamente ecclesiastici e sempre dense di significati, che si sovrappongono e si fondono fino a suggerire tutta una visione dell'uomo e dalla vita e dei suoi rapporti con quanto lo circonda: non è quindi l'ingenuità che caratterizza queste espressioni di religiosità popolare, dagli ex voto agli strumenti del venerdì santo, ma piuttosto la capacità di riplasmare elementi culturali di antichissima origine con i significati liturgici e di adattarli di volta in volta all'evento improvviso o al fluire della quotidianità.
Non conosciamo l'esatta origine di questa croce -presumibilmente dedicata a un soldato caduto nelle guerre di indipendenza- ne le vicende attraverso le quali questo oggetto, forse fuori dalla sua originaria destinazione, giunse a essere collocato sul tronco di un albero, ai Fondi, là dove terminava la strada degli "strusì". In questa collocazione la croce, collegata anche al toponomastico "Li Crus de Cap", che indicava un tratto più a monte della stessa via percorsa dai trasportatori di minerale, diventa segno emblematico del pericolo che incombeva su questi lavoratori nel periodo invernale e insieme ricordo di quanti di loro avevano trovato la morte sotto le valanghe: un numero imprecisato e imprecisabile, ma che rimane grande terribile nella memoria della gente, un emporio di morti.

Questo corpetto da sposa risale al 1876: i ricami in seta testimoniano l'abilità delle donne, che sin dall'età di 10-12 anni si impratichivano nel cucito e nel ricamo.
Sopra il corpetto, la sposa indossava una fulard di lana dai colori vistosi, le cui punte, incrociate sul petto, venivano inserite nella gonna a pieghe, lunga fino alla caviglia. Alla gonna si sovrapponeva un grembiule nero di seta, mentre il capo era coperto da un ampio scialle nero -sempre di seta- con  lunghe frange.
L'abito nuziale veniva donato dal marito, insieme all'anello e a un paio di orecchini: allo sposo e al testimone la sposa regalava una camicia bianca, da indossare il giorno dal matrimonio. Al sacerdote che celebrava il rito veniva regalato un fazzoletto di lino.

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