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Articolo tratto da "L'Eco
di Bergamo" 18 settembre 2005
Il paese dove era morto nel 1965 ha dedicato un convegno nel Palazzo Pretorio
all'illustre filologo e scrittore, simbolo dell'amore per i classici
VILMINORE RICORDA MANARA VALGIMIGLI: l'ultimo grande umanista italiano
Ultirno discepolo della scuola carducciana, (ultimo grande umanista italiano),
(uno dei più grandi uomini di scuola italiani). Le definizioni, in cui cercare
di conchiudere il senso e la qualità dell'opera di Manara Valgimigli,
classicista tra i più insigni del secolo scorso, sono fiorite numerose, data la
statura del personaggio, durante il convegno a lui dedicato ieri mattina, dalla
Biblioteca Civica di Viminore (intitolata, appunto, al Valgimigli) e dalla
locale amministrazione comunale, in occasione dei quarant'anni dalla scomparsa
dello studioso.
A Vilminore Valgimigli era morto, infatti, la notte tra il 27 e il 28 agosto del
1965. E Vilminore aveva eletto a dimora, per i suoi operosi "otia" letterari
estivi, negli ultimi anni di vita, dopo che il figlio Giorgio, primario
all'ospedale di Darfo, vi aveva fatto costruire una villetta, villa Erse, dal
nome della sorella prematuramente scomparsa. Dopo i saluti e le prolusioni del
sindaco di ViIminore Giovanni Toninelli, del presidente della Biblioteca Stefano
Albrici, del presidente della Comunità montana di Scalve Franco Belingheri, del
segretario dell'Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo Erminio Gennaro
-che ha presieduto il convegno- Marino Biondi, associato di Storia della critica
all'università di Firenze, uno dei più fedeli studiosi del Valgimgli
(memorialista), ha dedicato una appassionata relazione a "La memoria e gli
uomini. Il tempo di Valgimigli".
Ne è emerso il ritratto d'un professore di puro stampo carducciano, ispirato e
come investito da una missione, che, chiamato a Messina dal Pascoli, costretto
poi a rimbalzare da una cattedra all'altra -dalla città siciliana a Massa, e poi
alla Spezia, Lucera, Pisa, Padova- considerava la fatica del lavoro fuori sede
come una "medaglia al valore".
L'insegnamento, la trasmissione della grande cultura classica era per lui un
modo per "riassettare l'unità del Paese, nel nome di una tradizione umanistica
che dalle grandi scuole universitarie doveva irradiarsi in tutti i luoghi della
penisola". Le sue predilezioni, ha ricordato ancora Biondi, andavano soprattutto
alla cultura greca.
Nei confronti di quella latina, anche per l'uso che ne aveva fatto il regime,
per i rischi di derive retoriche, manifestò sempre qualche perplessità. Secondo
Valgimigli, la civiltà greca aveva raggiunto l'eccellenza del dire e del
pensare. Da qui la stima suprema accordata ai poeti e filosofi ellenici, e
l'esercizio delle grandi traduzioni, quali tra l'altro diversi Dialoghi
platonici, la Poetica di Aristotele, i tragici ed in ispecie Eschilo, i lirici
quali Dione Crisostomo e Callimaco.
Valgimigli, ha continuato Biondi, si era formato essenzialmente nell'800, era un
uomo dell'800. Quanto al Novecento, "ebbe il senso di viverci come in un luogo
di transito, in una casa presa a pigione, esposta ai fortunali della storia".
Nel libro di ricordi suo più importante, "Uomini e scrittori del mio tempo", ha
fatto notare lo studioso fiorentino, i1 '900, quasi, non c'è, e "al centro
dell'opera si asside il secolo dei grandi maestri", Carducci in testa.
Maestri in senso intellettuale, ma anche politico e, soprattutto, morale. Per
questo Valgimigli, ha sostenuto Biondi, "ha assunto per sé, nel '900, la parte
dell'inattualità, di simbolo di una classicità avviata al tramonto".
Le caratteristiche delle traduzioni valgimigliane, "volte più all'immediatezza
espressiva che non all'aulicità della dizione", sono poi state illustrate da
Gian Enrico Manzoni, docente di Lingua e Letteratura latina alla Cattolica di
Brescia. mentre Roberto Greggi, direttore del centro Studi Valgimigliani di San
Piero in Bagno (Forlì), ha ricostruito, non senza particolari toccanti, gli
ultimi anni dell'"umile vilminorese", quelli della, ahinoi, "turpis senectus".
Carlo Maria Pacati, infine, che per più di quarant'anni ha insegnato Latino e
Greco presso il bergamasco Liceo Classico Sarpi, era certo titolato a valutare
il rapporto tra "La scuola d'oggi e l'eredità di Valgimigli": un'eredità non
sempre raccolta, visto che "gli studenti ricordano poco" il valente grecista. E
però "restano vive le traduzioni", che, come quella celebre del Fedone,
"invitano a riflettere sulle cose che davvero contano nel rapporto fra gli
uomini".
Vincenzo Guercio
Manara
Valgimigli
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