Nina, di Dezzo, intervista raccolta nel 1983.
Dove si trovava la mattina del crollo?
Mi trovavo in casa e stavo preparando il caffè. Ad un tratto udii un forte
rumore e vidi che la casa si stava allagando. Mio padre era ancora letto, la
mamma era in chiesa. Il primo istinto fu quello di fuggire ma ricordai che in
casa c'era ancora il papà. Corsi allora in camera per svegliarlo, lo trovai in
piedi che si stava vestendo in tutta fretta.
Uscimmo di corsa da casa ma l'acqua ci aveva raggiunto e ci stava travolgendo.
Per fortuna ci passò davanti un carretto che galleggiava sull'acqua, il papà
riuscì ad afferrarlo e, aggrappati a quello, riuscimmo a raggiungere la terra
ferma. Poco lontano vidi la mia nipotina che era stata anch'essa travolta, la
raggiunsi e la salvai.
Nel disastro perse qualche familiare?
Si, due sorelle sposate e tre nipotini. Abitavano in una casa vicino alla
centrale. I cognati si salvarono perché non erano in casa. Uno di loro divenne
poi mio marito.
Quali conseguenze ebbe per lei il disastro?
La disperazione e il terrore provati in quei giorni mi fecero ammalare.
Dovetti sottopormi a numerose cure per molto tempo. Avevo incubi continui,
vedevo continuamente acqua, fango, cadaveri e macerie.
Molte persone rischiarono di perdere la ragione e dovettero essere curate.
Ricordo che quando pioveva a lungo mi ritornavano gli incubi perché la pioggia
mi ricordava quei giorni tremendi.
La sua casa fu distrutta?
La mia casa sorgeva sulla riva sinistra del Dezzo, nei pressi della casa
parrocchiale. Non fu completamente distrutta, fu tagliata a metà, rimasero in
piedi sono due pareti. I soldati della milizia portarono delle tende per i
senzatetto.
L'opera di ricostruzione fu fatta in un secondo tempo grazie al lavoro e alla
volontà dei sopravvissuti.