Caterina, di Dezzo, intervista raccolta nel 1983.

Dove si trovava al momento del disastro?
Ero appena tornata dalla Chiesa e stavo preparando la colazione. Avevo appena messo il piatto sul tavolo quando sentii un forte rumore e il piatto cominciò a traballare. Corsi fuori spaventata e vidi il parroco che faceva fuggire le donne sulla montagna. Scappai anch'io e dall'alto vidi un enorme ondata d'acqua che, raggiunto il forno fusorio dove era appena stata fatta una colata di ferro, provocò un denso fumo nero che impediva di vedere. Nel frattempo i fili della luce si incendiarono. Ci trovammo così tra due pericoli: da una parte il fuoco e dall'altra l'acqua.
Era impossibile sia andava avanti, sia tornare indietro. Dezzo fu travolto da due ondate: la prima provocò pochi danni, distrusse infatti solo poche case ai margini del torrente; arrivata però al ponte che porta a Dosso, dove la valle si restringe formando una gola, l'acqua, piena di detriti, tronchi d'albero e macerie, si arrestò, tornò indietro e travolse di nuovo il paese. Quando riuscì a incanalarsi lungo la Via Mala, la parte destra del paese era sparita.

Come furono organizzati soccorsi?
Arrivarono dei soldati con a capo il conte Giacomo Suardo che si interessò e si impegnò per venire incontro ai bisogni dei sopravvissuti.
Consegnò personalmente a tutte le famiglie colpite lire 500. Nella sacrestia della Chiesa le suore organizzarono la mensa. I sussidi che ci mandarono furono però piuttosto scarsi, il nostro paese infatti abbiamo dovuto ricostruirlo quasi esclusivamente con le nostre forze.

Sospettavate che la diga del Gleno non fosse sicura?
Sì, sapevamo infatti che la diga perdeva acqua. Le saracinesche che dovevano fare uscire un po' d'acqua abbassando il livello della diga non furono aperte, non so se perché erano rotte o perché non fu dato l'ordine. Il livello dell'acqua superò quindi il limite. Ma questo lo abbiamo saputo dopo.

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