XXX° Convegno di Idraulica e Costruzioni Idrauliche - IDRA 2006 MODELLAZIONE MATEMATICA DELLA PROPAGAZIONE DELL'ONDA DI PIENA CONSEGUENTE AL CROLLO DELLA DIGA DEL GLENO
M. Pilotti, A. Maranzoni, M. Tomirotti
DICATA, Università degli Studi di Brescia - Brescia (IT) e-mail: marco.pilotti@ing.unibs.it  andrea.maranzoni@ing.unibs.it  massimo.tomirotti@ing.unibs.it

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SOMMARIO

Il problema della salvaguardia dei territori montani soggetti ad alto rischio di natura idraulica è di notevole attualità e si concretizza in primo luogo nella necessità di individuare efficienti metodologie che siano applicabili in simili contesti.
Ispirato da tale motivazione, questo contributo presenta la ricostruzione dal punto di vista idraulico della propagazione dell’onda di piena conseguente al collasso parziale della diga del Gleno che, verificatosi il 1° dicembre 1923 al primo completo riempimento dell’invaso, determinò il rilascio di 4.5 milioni di m3 di acqua provocando, nelle valli percorse dall’onda di piena, quasi 400 vittime e danni ingenti ai centri abitati ed alle attività produttive.
Reputato valido un approccio di tipo monodimensionale, si è fatto uso di due modelli matematici basati su formulazioni conservative delle equazioni di de Saint-Venant, valutandone comparativamente le prestazioni. In particolare, la formulazione approssimata proposta di recente in letteratura da Capart et al. (2003) include nel termine di flusso i contributi dinamici dovuti alla pendenza del fondo ed alla geometria non prismatica.
Ad entrambi i modelli è stato applicato un algoritmo numerico di integrazione, proposto da Braschi & Gallati (1992), che appartiene alla classe dei metodi ai volumi finiti e si caratterizza per una previsione upwind dei flussi numerici derivante dalla discretizzazione della forma caratteristica delle equazioni del moto. La validazione dei due strumenti è stata condotta con riferimento a numerosi e canonici casi test di letteratura e ha indotto a ritenerli di fatto concorrenziali ed adatti alla simulazione di fenomeni di moto rapidamente vario che si svolgano su topografia accidentata, anche se non del tutto equivalenti dal punto di vista applicativo in presenza di pendenze accentuate.
Inoltre la modellazione matematica della dinamica di propagazione dell’onda conseguente al crollo della diga del Gleno, resa possibile da una complessa procedura automatica di estrazione da DEM delle informazioni topografiche ed idrauliche necessarie, ha fornito risultati in sostanziale accordo con le testimonianze storiche.

INTRODUZIONE

Il 1° dicembre 1923 la diga del Gleno, ultimata da soli due mesi a sbarrare l’alto corso del torrente Povo in val di Scalve (provincia di Bergamo), crollava in condizioni di totale riempimento per una serie di errori commessi nella progettazione e nella realizzazione dell’opera.
Il numero dei morti, quasi 400, attesta il carattere disastroso di quell’evento, che pure interessò una vallata alpina impervia e in ampie zone disabitata. Questo tragico evento costituì momento fondamentale nel processo di costituzione dell’attuale Registro Italiano Dighe, l’organismo preposto alla vigilanza nei confronti della corretta realizzazione e gestione degli invasi di rilevante capacità. Da allora, in Italia, non si sono più ripetuti eventi di natura simile, giacché i due altri terribili disastri (le tracimazioni di Sella Zerbino e del Vajont) furono di natura sostanzialmente differente.

Negli anni in cui avvenne il disastro del Gleno, in valle Camonica, specialmente attorno al massiccio dell’Adamello, andava formandosi uno dei maggiori concentrati di invasi a destinazione idroelettrica, caratterizzati in generale da volumi ben superiori ai 4.5 milioni di metri cubi del piccolo invaso del Gleno.
Per quanto dal punto di vista storico (e.g., Pedersoli, 1973 e 1998; Morandi, 2003) e tecnico (De Martini, 1924 e 1954; Maugliani, 2004) non siano negli anni mancate attente ricostruzioni di quell’evento, per quello che si è potuto rilevare dalla indagine bibliografica non è mai stato caratterizzato dal punto di vista idraulico il processo di formazione e propagazione della piena che si verificò a seguito del crollo. La prima motivazione di questa nota è quindi quella di fornire un contributo in tale direzione.
In aggiunta ad una ragione storica, ve ne sono poi altre ispirate da motivazioni del tutto attuali. Il territorio italiano è caratterizzato dalla presenza di estesi insediamenti urbani, soprattutto in area di pianura, ma anche in area pedemontana e di fondovalle. Diverse importanti vallate presentano infatti estesi fenomeni di conurbazione, che hanno portato alla formazione di ampie aree antropizzate in un contesto sostanzialmente montano, cioè caratterizzato dalla presenza di un rilevo orografico circostante in grado di produrre situazioni di elevata pericolosità di origine idrogeologica. Ciò è particolarmente vero nella realtà bresciana dove molte valli esprimono un potenziale economico impressionante, come impressionante è però anche il costo ambientale collegato. In questi contesti il rischio idraulico, nella sua accezione di combinazione della pericolosità con l’esposizione, diviene potenzialmente elevatissimo.
Il tentativo di ricostruire la dinamica del processo di propagazione dell’onda di piena conseguente al crollo dello sbarramento del Gleno è quindi anche quello di individuare metodologie che siano applicabili, in via preventiva, in altri contesti similari e si deve confrontare con la effettiva disponibilità di strumenti modellistici adeguati. Gli elevatissimi valori di portata, unitamente alla particolarità morfologica della vallata considerata, hanno in questo caso legittimato l’utilizzo di un approccio monodimensionale basato sulle equazioni di de Saint-Venant.
Si tratta evidentemente di un problema ormai ampiamente e soddisfacentemente affrontato, con riferimento però a condizioni diverse da quelle sopra tratteggiate. Anche prescindendo del tutto dagli aspetti connessi al trasporto solido, al forte rimodellamento delle sponde e dell’alveo e al comportamento idraulico delle zone coperte da vegetazione che durante un evento del genere verrebbero sommerse, nei contesti alpini sopra ricordati la propagazione di un’onda di crollo diga avviene su fondo praticamente asciutto, implicando continui passaggi transcritici con possibile formazione di onde di shock, in un contesto di pendenze assai elevate e di accentuate e ricorrenti nonprismaticità. Evidentemente, si tratta di condizioni che violano l’assunzione di linearità della corrente ed è quindi legittimo chiedersi fino a che punto l’applicazione di uno strumento basato su tale presupposto possa fornire informazioni utili alla gestione del rischio idraulico. Una indicazione può venire, a nostro parere, dal tentativo di ricostruzione di eventi reali, con il confronto, almeno qualitativo, dei pochi dati disponibili con quelli calcolati.
In un recente lavoro Capart et al. (2003) hanno proposto un metodo innovativo per il trattamento di batimetrie irregolari nell’ambito della soluzione con tecnica upwind ai volumi finiti delle equazioni di de Saint-Venant, confrontandolo criticamente con quello PFP (Pavia Flux Predictor) di Braschi & Gallati (1992). In aggiunta ai vantaggi delle tecniche control volume, il metodo proposto appare assai innovativo, poiché, in luogo di agire sul termine sorgente, incorpora gli effetti della non prismaticità e della pendenza all’interno dei termini di flusso, ottenendo il soddisfacimento della Cproperty (Bermúdez & Vázquez, 1994). Nella presente nota il metodo viene analizzato criticamente, verificandolo su numerosi casi classici e prove ad hoc volte a definirne l’applicabilità su topografie caratterizzate da pendenze accentuate.
Viene così ridefinita l’effettiva portata dei miglioramenti introdotti e chiarito il confronto con l’algoritmo PFP, le cui prestazioni, contrariamente a quanto sarebbe dato evincere dall’articolo degli autori citati, appaiono ancora del tutto concorrenziali.
Venendo poi all’applicazione di questi metodi al contesto in esame, essa non sarebbe possibile senza aver individuato una efficiente metodologia di preelaborazione della imponente mole di informazione topografica richiesta per portare a termine la simulazione lungo i circa 21 km di alveo. Tale aspetto è stato efficacemente risolto affiancando ai solutori considerati opportuni algoritmi che, operando sul modello di elevazione del terreno della zona studiata, hanno permesso dapprima l’estrazione dell’asta lungo la quale si è svolto l’evento e successivamente l’estrazione automatizzata delle sezioni trasversali all’asta fluviale, il loro eventuale infittimento ed il calcolo delle quantità idraulico-geometriche necessarie al processo risolutivo.

IL CASO DI STUDIO: IL CROLLO DELLA DIGA DEL GLENO

La diga del Gleno venne realizzata in modo da sbarrare il primo piano del Gleno, a 1500 m di altitudine, chiudendo un bacino imbrifero di circa 8 km2. La storia della realizzazione di questa diga è una storia di irregolarità e di negligenze, ben documentate in Pedersoli (1973), in Maugliani (2004) e sul sito web www.scalve.it
Secondo il progetto originario la diga avrebbe dovuto essere a gravità, ma in seguito all'incremento dei costi di costruzione nel periodo successivo al termine della prima guerra mondiale, dopo la realizzazione del tampone, la costruzione della diga venne proseguita conformemente alla tipologia ad archi multipli. Lo sbarramento era a forma di "S", lungo 260 m e costituito da un tampone centrale in muratura che chiudeva la gola del torrente e da una serie di 25 archi in calcestruzzo armato, alcuni dei quali impostati sul tampone e altri direttamente sulla roccia dei fianchi della vallata. Il bacino racchiuso presentava, in corrispondenza della quota 1548 m, uno specchio liquido di superficie pari a 400000 m2 e un invaso di circa 4.5 milioni di m3. L'acqua raccolta alimentava con un primo salto di circa 500 m la centrale di Bueggio e con un ulteriore salto di 285 m la centrale di Valbona. Le due centrali avevano una potenza complessiva pari a 7.5 MW. Il 22 ottobre 1923, a seguito delle forti piogge, il bacino, ormai terminato, si riempì interamente per la prima volta. Alla base del tampone si acuirono le abbondanti perdite, che vennero però evidentemente considerate fisiologiche, sicché il 1° dicembre 1923, giorno in cui avvenne il crollo, il serbatoio era ormai pieno da 40 giorni.
L'unico testimone oculare della tragedia fu il guardiano della diga che affermò di aver visto la diga squarciarsi rapidamente poco dopo le 7 e svuotarsi in 12-15 minuti. Diverse testimonianze collocano poi l'arrivo del fronte dell'onda a Darfo Boario attorno alle 7:45. In definitiva, nei 30-40 minuti intercorrenti, l'onda percorse 21 km di valle distruggendo, direttamente o per spostamento d'aria, parte dell'abitato di Bueggio, spazzando via la località di Dezzo e risparmiando Angolo solo in virtù della sua collocazione sopra un pendio considerevolmente più elevato rispetto al corso del Dezzo. Corna di Darfo fu devastato e Darfo allagato: l'acqua invase tutta la campagna circostante fino a raggiungere le strade provinciali per Brescia e le campagne di Gianico. I danni furono incalcolabili e si stimarono 357 vittime.
L'evento del Gleno, per la sua drammaticità, colpì profondamente l'opinione pubblica nazionale ed internazionale e venne abbondantemente documentato dal punto di vista fotografico (Pedersoli, 1973). Purtroppo il materiale documentario non è pensato per consentire una ricostruzione quantitativa. Esso quindi solo incidentalmente documenta l'estensione delle aree allagate, concentrandosi più sugli effetti in relazione a manufatti che, però, risulta difficile georeferenziare a più di 80 anni di distanza. Le descrizioni giornalistiche risultano poi spesso iperboliche o contraddittorie. Inoltre, l'idea di un confronto puntuale è, in situazioni come quelle descritte, probabilmente illusoria. Infatti, anche prescindendo dalla inadeguatezza del modello matematico rispetto alla complessità dell'evento, non si può trascurare il fatto che l'evento alterò significativamente in diversi punti la morfologia della valle, innescando processi erosivi e di deposizione che nei decenni successivi si tentò di arginare con interventi di sistemazione di versante e con la realizzazione di opere idrauliche in alveo. Conseguentemente, lo stesso modello di elevazione del terreno posto a base della modellazione effettuata, fornisce in alcuni punti (ad esempio, presso Bueggio) quote che, sulla base di diversi elementi, si è portati a ritenere differenti anche per qualche decina di metri rispetto a quelle originarie. Come già per casi ben più recenti, i confronti quantitativi si possono quindi condurre sulla base di pochi elementi e, più in generale, ciò che si può fare è una verifica qualitativa di compatibilità dell'onda calcolata rispetto agli effetti documentati. In questo senso, i livelli e le portate calcolati si sono mostrati del tutto compatibili con la maggior parte degli effetti documentati fotograficamente. Un esame dettagliato di questo confronto va però oltre i limiti di spazio concessi al presente contributo.
La ricostruzione dell'onda di piena uscente dalla breccia (lunga circa 80 m) formatasi nella parte centrale della diga è oggetto di altro articolo presentato a questo convegno (Bacchi et al., 2006). Tale onda costituisce condizione al contorno di monte nella simulazione. La portata al colmo calcolata è di circa 21000 m3/s, mentre le portate naturali di piena con tempo di ritorno millenario possono stimarsi in circa 110 m3/s alla confluenza del Povo nel Dezzo e in 500 m3/s alla sezione di chiusura di Darfo. Il dislivello altimetrico complessivamente coperto dall'onda è di circa 1250 m, con una pendenza media dell'alveo del 6%. Quale condizione al contorno di valle si è imposta una condizione trasmissiva. È stato inoltre necessario imporre una soglia minima al di sotto della quale considerare nullo il tirante: al fine di contenere gli errori nel bilancio di continuità, essa è stata scelta pari ad 1 mm. Le simulazioni sono state condotte per 250 minuti in modo che l'onda giunta a valle fosse praticamente completa.
In Figura 6 si mostrano gli idrogrammi calcolati con riferimento ad alcune delle circa 9000 sezioni prese a base del calcolo ed evidenziate in planimetria.
Già si è detto che uno dei punti fermi è il tempo di percorrenza, stimato in 30-40 minuti dalle testimonianze. È interessante notare che, avendo a priori stimato, sulla base della morfologia dell'alveo e delle zone circostanti, un indice di scabrezza di Gauckler-Strickler costante sia spazialmente che al variare del tirante e pari a 15 m1/3s-1, si ottiene dalle simulazioni un tempo di arrivo del fronte dell'onda a Corna di Darfo di 46.7 minuti per lo schema di Braschi & Gallati (1992) e di 40 minuti per lo schema di Capart et al. (2003). La celerità media dell'onda, stimabile in quasi 10 m/s, risulta quindi leggermente più bassa nello schema di Capart et al. (2003). Si osserva in entrambi i casi un forte smorzamento iniziale del picco ed un irripidimento del fronte al procedere verso valle.
Per quanto nella simulazione si sia utilizzato quale condizione al contorno di monte l'idrogramma calcolato mediante modellazione bidimensionale, il forte effetto di laminazione riscontrato lungo la valle fin dai primi istanti porta a ritenere che sia legittimo fare ricorso ad idrogrammi di tipo semplificato che riproducano in maniera schematica l'andamento complessivo del processo di svuotamento (Bacchi et al., 2006). Netti ed improvvisi abbattimenti dei valori di colmo degli idrogrammi di portata si verificano all'altezza di rilevanti allargamenti della valle di Scalve
entrambi i modelli numerici prevedono un intenso effetto di laminazione tra le sezioni 5000 e 6000 (per la espansione in corrispondenza della zona, posta poco a valle dell'abitato di Dezzo, detta rovina dei cani) e tra le sezioni 2000 e 1000 (per l'allargamento che caratterizza la valle in prossimità del paese di Mazzunno).
La celerità di propagazione del fronte, infine, dapprima elevatissima con valori attorno ai 20 m/s, va progressivamente diminuendo man mano che l'onda procede verso valle.
I risultati della modellazione sono stati posti a confronto con le informazioni qualitative e quantitative desunte dalle notizie storiche concernenti l'evento. Nel seguito si presenta un significativo esempio relativo all'abitato di Dezzo.
Secondo le testimonianze, "Dezzo di Azzone ha i segni dell'acqua sino ai secondi piani" (Pedersoli, 1973). In corrispondenza della sezione n. 6617, collocata nel centro del paese, l'idrogramma della profondità idrica (campionato in Figura 7 alla frequenza di 10-2 Hz) raggiunge 14 m; dal momento che dalla CTR si osserva un dislivello di circa 5 m tra il fondo del corso d'acqua e le abitazioni, un tirante superiore ai 14 m è dunque sufficiente a raggiungere il secondo piano delle case.
"Il sindaco Antonio Bonomi dice quello che dicono tutti: è stato un diluvio in cinque minuti" (Pedersoli, 1973). Poiché il corpo dell'onda è collocato tra 7 e 15 minuti dall'evento di dambreak, il risultato numerico appare sostanzialmente congruente con la notizia riferita dagli abitanti di Dezzo, fermo restando il fatto che le informazioni sulla tempistica vanno accettate con una certa diffidenza dato che sono quasi sempre raccolte in articoli di cronaca.
Confronti similari possono essere effettuati con riferimento ad alcune altre località.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Nel presente contributo si è affrontato il problema della modellazione della propagazione dell'onda di piena conseguente al crollo dello sbarramento del Gleno, avvenuto in valle di Scalve il 1° dicembre 1923.
Il lavoro è ispirato da motivazioni di carattere storico e tecnico. Dal punto di vista storico, esso ha condotto a valutare per la prima volta l'entità delle portate e dei tiranti che hanno interessato, in seguito a questo evento, le diverse località poste lungo gli oltre 20 km di alveo dei torrenti Povo e Dezzo. Dal punto di vista tecnico ha permesso di mettere a punto uno strumento utile alla valutazione della pericolosità idraulica, tematica questa di crescente importanza in tutto l'arco alpino.
Il caso trattato mostra in modo esemplare come la applicazione pratica degli algoritmi di soluzione delle equazioni di de Saint-Venant si possa scontrare con la presenza di correnti transcritiche, eventualmente con formazione di shock, su batimetrie altamente irregolari. Tale complessità suggerisce in modo quasi naturale l'adozione di metodi risolutivi appoggiati ad una formulazione debole delle equazioni (tipicamente il metodo ai volumi finiti), i quali lasciano tuttavia aperto il problema di un corretto calcolo delle spinte idrostatiche connesse alla non-prismaticità del tronco d'alveo cui lo schema viene applicato. In questo senso, si è ritenuto interessante valutare il comportamento di un algoritmo recentemente proposto in letteratura (Capart et al., 2003), dove, partendo da una riformulazione approssimata delle equazioni di de Saint-Venant, si perviene ad una scrittura che soddisfa rigorosamente la Cproperty. Poiché tali equazioni vengono poi discretizzate mediante una modifica dello schema upwind PFP (Pavia Flux Predictor) di Braschi & Gallati (1992), è parso naturale cercare di capire quale fosse il valore aggiunto rispetto a questo schema. Si è dunque condotta un'ampia analisi comparativa le cui conclusioni sono riportate, per ragioni di spazio, solo per sommi capi nella presente nota.
I buoni risultati ottenuti dall'applicazione dei due schemi a numerosi casi test schematici di validazione dotati di soluzione di riferimento e ritenuti ormai classici dalla letteratura di settore, provano la sostanziale validità di entrambi. Tuttavia, l'analisi comparativa che è stata condotta ha altresì posto in evidenza come lo schema più recente, pur potendo garantire la proprietà di rigoroso mantenimento di una condizione inizialmente statica (la cui effettiva portata tecnica andrebbe peraltro più approfonditamente valutata), comporti una ben maggiore complessità algoritmica e manifesti una spiccata sensibilità al passo spaziale di discretizzazione e alla scelta del numero di Courant. In particolare ciò richiede un alto grado di dettaglio nella descrizione della topografia in contesti caratterizzati da pendenze accentuate (dove, del resto, viene meno la rigorosa validità delle ipotesi che stanno alla base del modello matematico utilizzato).
In questi casi, inoltre, l'acquisizione preliminare della grande mole di informazioni geometriche di cui necessita la procedura di calcolo e l'onerosa fase di preprocessamento dei dati diventano inattuabili con le normali tecniche di battitura topografica e devono quindi essere inevitabilmente eseguite in automatico mediante appropriata tecnica GIS.
L'applicazione al caso di studio della propagazione dell'onda di piena conseguita al crollo dello sbarramento del Gleno ha permesso di valutare criticamente la capacità degli schemi esaminati a simulare rapidi transitori su topografia reale, con riferimento ad un avvenimento storico di notevole interesse, unico nel suo genere nel nostro Paese. I risultati delle simulazioni sono stati confrontati con le informazioni desumibili dalle testimonianze storiche sull'evento che documentano, in qualche misura anche quantitativamente, la dinamica del fenomeno e l'entità dei danni provocati dall'onda che ha percorso la valli di Povo e di Scalve. Le simulazioni mostrano che già lungo i primi chilometri l'onda di piena risente di un forte effetto di laminazione, passando da circa 21000 m3/s alla sezione della diga a circa 10000 m3/s solo cinque chilometri a valle. Tale riduzione dei valori di colmo è accompagnata da un sensibile irripidimento del fronte che, dopo circa 45 minuti, raggiunge la valle Camonica.
In conclusione, la concordanza che è stata riscontrata tra i risultati forniti dalla modellazione matematica e le informazioni più attendibili riportate dai documenti storici conferma la bontà della ricostruzione degli aspetti salienti dell'evento e legittima l'utilizzo degli strumenti descritti in scenari similari.

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BIBLIOGRAFIA
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www.scalve.it/gleno


XXX° Convegno di Idraulica e Costruzioni Idrauliche - IDRA 2006
MODELLAZIONE MATEMATICA DELLA PROPAGAZIONE DELL’ONDA DI PIENA CONSEGUENTE AL CROLLO DELLA DIGA DEL GLENO
B. Bacchi, F. Oberto1, M. Pilotti, M. Tomirotti)
DICATA, Università degli Studi di Brescia – Brescia (IT)

e-mail: bacchi@ing.unibs.it  marco.pilotti@ing.unibs.it  massimo.tomirotti@ing.unibs.it   
Parole chiave: moto vario, rischio idraulico, idrodinamica delle acque basse, diga.

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SOMMARIO

Il presente lavoro trae spunto dalla ricostruzione dell'onda di piena conseguente al collasso dello sbarramento del Gleno, avvenuto in Valle di Scalve nel dicembre del 1923. Si tratta, come noto, dell'unico caso di crollo diga avvenuto in Italia, in seguito al collasso totale ed istantaneo di alcuni dei contrafforti sui quali poggiavano le volte costituenti il paramento di monte, per uno sviluppo di circa 80 metri su 260 complessivi di lunghezza dello sbarramento. Il collasso ha quindi interessato solo una parte minoritaria dello sviluppo trasversale della diga, inducendo, nella zona circostante la breccia, una situazione di moto nettamente bidimensionale. Tale situazione, unita al desiderio di ricostruire al meglio l'idrogramma complessivo generato dall'evento, ha suggerito il ricorso ad una modellazione basata sulla integrazione numerica delle equazioni delle acque basse.
La simulazione ha mostrato che l'utilizzo della formula di Ritter per il calcolo della portata al picco porterebbe ad una sua sottostima. Tale conclusione, unita all'obbligo previsto dalla normativa vigente per determinate tipologie di sbarramenti di verificare le situazioni conseguenti al collasso improvviso e parziale, ha inoltre suggerito lo sviluppo di una metodologia per la caratterizzazione dell'onda di piena in forma semplificata. L'approccio proposto è basato su una opportuna adimensionalizzazione della soluzione numerica delle equazioni bidimensionali delle acque basse applicate al processo di svuotamento di un invaso stilizzato alla cui geometria si possono ricondurre quelle del serbatoio e della breccia reale.
I risultati soddisfacenti ottenuti dalla applicazione della metodologia proposta al caso del Gleno hanno suggerito una sua verifica con riferimento ad alcuni casi relativi ad ipotetici sbarramenti realizzati trasversalmente a vallate alpine, la cui geometria di invaso è stata ricavata da modelli di elevazione del terreno. Per quanto ancora preliminare, il confronto tra soluzioni numeriche complete ed idrogrammi speditivi stimati sulla base della metodologia presentata suggerisce una buona operatività della stessa qualora la geometria dell'invaso possa ragionevolmente approssimarsi a quella posta a base della schematizzazione.

INTRODUZIONE

In tutto l'arco alpino italiano le aree di conoide e di fondovalle sono sempre state storicamente sede di insediamenti antropici. Nel corso degli ultimi decenni questa tendenza è andata rafforzandosi e talvolta i fondovalle sono stati completamente urbanizzati. A fianco di una crescente pressione sull’ambiente in senso lato, è così enormemente cresciuto il livello di esposizione, e quindi di rischio, in relazione ai processi dinamici caratteristici dell'ambiente alpino e a quelli connessi alla regolazione e allo sfruttamento della risorsa idrica.
Dopo il catastrofico crollo della diga del Gleno, avvenuto in Valle di Scalve nel dicembre del 1923 causando quasi 400 vittime, sono stati introdotti criteri normativi progressivamente più cautelativi, a partire dal primo regolamento del 1925, e strumenti tecnici via via più perfezionati per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli sbarramenti. Conseguentemente, per quanto in Italia siano presenti più di 600 dighe, l'evento del Gleno è rimasto fortunatamente isolato, non potendosi assimilare ad esso la tragedia del Vajont e solo parzialmente quello precedente di Sella Zerbino.
La sicurezza delle dighe in Italia è quindi sicuramente molto elevata e, a livello planetario, secondo le conclusioni di Goubet (Risques associés aux barrages, 1979), il rischio globale di rottura risulterebbe essere di circa 1 caso per 50000 anni/diga. Tuttavia, se la rottura di una diga è un evento raro, il danno conseguente può avere dimensioni realmente catastrofiche, sia in termini di perdite di vite umane, sia di danni materiali. Di conseguenza, non si può ritenere che il livello di sicurezza raggiunto sia tale da non spingere a cercare ulteriori progressi dal punto di vista tecnico, normativo e organizzativo. La stima degli effetti di un ipotetico collasso dello sbarramento è quindi fondamentale, sia per la valutazione della sicurezza, sia per la predisposizione di piani di allerta, di evacuazione e di soccorso da parte della Protezione Civile, e in definitiva per la mitigazione del rischio. Con la circolare Min. LL. PP. n. 352/1987, “Prescrizioni inerenti l’applicazione del regolamento sulle dighe di ritenuta approvato con D.P.R. 1 novembre 1959, n. 1363”, vennero introdotte prescrizioni riguardanti la valutazione dell’onda di piena causata dal collasso di una diga. In particolare nell’articolo 2 venne introdotto, tra gli elaborati del progetto esecutivo, lo studio dell’onda di piena conseguente ad ipotetico collasso dello sbarramento, con la cartografia delle aree potenzialmente soggette ad allagamento. Inoltre, nell’articolo 16, fu imposto che il medesimo studio, ai fini della protezione civile, venisse eseguito per tutte le opere di ritenuta cui il regolamento era applicabile. Successivamente, con la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 13 Dicembre 1995, n. DSTN/2/22806 “Disposizioni attuative e integrative in materia di dighe”, pubblicata sulla G.U. 7 marzo 1996, n. 56, fu fatto obbligo ai concessionari di opere di sbarramento, dighe di ritenuta o traverse che superino i 15 metri di altezza o che determinino un volume d’invaso superiore ad 1.000.000 m3, di redigere gli studi sugli effetti delle piene artificiali connesse alle manovre sugli organi di scarico e gli studi teorici tendenti ad individuare il profilo dell’onda di piena e le aree soggette ad allagamento in conseguenza di ipotetico collasso della struttura, in conformità alle specifiche tecniche elaborate dal G.N.D.C.I. In particolare, tali norme tecniche impongono, per le dighe murarie, di assumere la condizione di rottura più gravosa in relazione alla generazione dell’onda di piena, corrispondente al caso di crollo totale e istantaneo; salvo che la tipologia sia tale da richiedere la verifica di stabilità per ogni singolo elemento strutturale costituente l’opera. In tal caso il crollo può essere ragionevolmente ipotizzato parziale, interessante cioè i soli elementi strutturali di maggiore altezza, in ogni caso in numero tale da fornire un rapporto tra le aree della sezione di breccia e quella dell’intera diga non minore di 1/3.
In effetti, con riferimento alle dighe murarie a gravità ordinaria in calcestruzzo, partendo dalla considerazione che la stabilità di queste dighe è verificata per ogni singolo elemento strutturale costituente l’opera, il Comitato Italiano Grandi Dighe suggerisce che il crollo si possa considerare parziale e possa interessare solo alcuni degli elementi di maggiore altezza. Lo stesso si dica in merito alle dighe murarie a speroni e vani interni, il cui comportamento è analogo a quello delle dighe murarie a gravità ordinaria in calcestruzzo. Infine, con riferimento alle dighe murarie a volta o solette sostenute da contrafforti, in via cautelativa, si suggerisce di assumere il crollo istantaneo e totale, in quanto la rottura di un elemento può provocare il collasso di un consistente numero di elementi adiacenti. Si noti che, tuttavia, in due casi storici particolarmente noti, quello appunto del Gleno e quello di Vega de Tera, rispettivamente solo 8 su 25 e 17 dei 28 elementi furono distrutti. In definitiva, dalle considerazioni esposte si evince che nello studio di sicurezza idraulica di uno sbarramento si può porre concretamente il problema di stimare l'idrogramma conseguente al collasso parziale dello stesso.
Nel caso di rimozione completa dello sbarramento, qualora si possano ritenere bene approssimate le ipotesi alla base della classica soluzione di Ritter, o delle sue estensioni a sezioni diverse dalla rettangolare, una buona stima della portata al colmo può essere ricavata da tale equazione (Ritter, 1892). Poichè tuttavia in questa ipotesi il volume disponibile a monte della diga risulta infinito, la piena uscente è sostanzialmente costituita da un gradino a portata costante. Nelle situazioni reali, essendo il volume invasato finito, l'onda che si genera tende ad esaurirsi in relazione al rapido svuotamento del serbatoio. In effetti, oltre che del volume complessivo disponibile, il processo di svuotamento risente fortemente della propagazione delle onde negative provenienti dalla breccia e riflesse dai bordi del bacino. Qualora poi la breccia aperta sia solo parziale, il campo di moto attorno alla stessa sfugge alla semplice descrizione monodimensionale alla base della soluzione di Ritter. In questo caso si sviluppa nell'intorno della breccia una zona di chiamata a simmetria approssimativamente semiellittica e conseguentemente la stima della portata al colmo derivante dalla formula di Ritter applicata alla breccia può risultare non cautelativa.
Affrontando per la prima volta il problema della caratterizzazione idraulica dell'evento conseguente al crollo dello sbarramento del Gleno, si sono evidenziati gli aspetti sopra accennati e, nel tentativo di pervenire ad un approccio speditivo applicabile anche ad altri casi, si è formulato un primo criterio per la stima dell'idrogramma conseguente allo svuotamento di un invaso nel quale sia istantaneamente aperta una breccia parziale. Il criterio formulato riconduce l'idrogramma da determinare a quello che si può desumere mediante soluzione numerica delle equazioni di de Saint Venant per il caso di svuotamento di un invaso di geometria prismatica e fornisce risultati che sono stati ritenuti soddisfacenti nel caso in cui il bacino presenti una conformazione geometrica complessiva riconducibile a quella assunta a base della schematizzazione.

CONCLUSIONI

La presente ricerca ha tratto spunto dal tentativo di ricostruzione dell'onda di piena associata al tragico evento di rottura della diga del Gleno verificatosi il giorno 1-12-1923. La piena, prodotta dal collasso di circa un terzo degli speroni che reggevano le volte centrali dello sbarramento, ha causato la devastazione dell'intera Valle di Scalve e provocato quasi 400 morti. Nonostante la sua rilevanza, e sebbene sia stata prodotta una discreta mole di studi inerenti alla storia dell'evento e alle problematiche geotecnico-strutturali, per quanto a conoscenza di chi scrive, mancava finora un tentativo di ricostruzione del fenomeno idraulico. Il presente studio cerca di colmare parzialmente questa carenza presentando un tentativo di ricostruzione di quell'onda di crollo.
Al fine di ricostruire l'andamento dell'onda di piena conseguente al collasso e l'evoluzione temporale del processo di svuotamento dell'invaso si è optato per la messa a punto di un idoneo modello di tipo bidimensionale. Il modello implementato è stato verificato su una serie di casi teorici e numerici di riferimento, consentendone una eccellente ricostruzione. Il codice è stato quindi utilizzato per la valutazione dell'idrogramma conseguente al collasso della diga del Gleno. L'idrogramma mostra alcune interessanti caratteristiche, fra le quali spiccano le seguenti: la portata massima effluente superiore a quella calcolabile con la formula di Ritter per il crollo di uno sbarramento di larghezza pari a quella della breccia e la presenza nell'onda di svuotamento di picchi successivi intervallati da rami di esaurimento. Che la portata massima uscente sia maggiore rispetto a quella teorica di Ritter, come verificato nella simulazione, è connesso alla geometria orientativamente semiellittica della zona di chiamata intorno alla breccia. Tale circostanza induce un incremento di portata da tenere opportunamente in conto nella valutazione speditiva di onde di progetto finalizzate alla predisposizione di mappe di rischio e piani di emergenza a valle delle dighe. Le altre caratteristiche della morfologia dell'onda, invece, sono da connettere alle modalità con cui si sviluppa il fenomeno; in particolare esse sono conseguenti alla propagazione-riflessione tra la breccia e le pareti di contorno delle onde negative di svuotamento dell'invaso.
Questi comportamenti hanno suggerito l'idea di ricercare una metodologia semplificata di ricostruzione di onde di crollo, almeno per invasi a geometria non troppo complessa. Si sono perciò dapprima studiate le onde conseguenti alla formazione di brecce di dimensione progressivamente crescente, fino al crollo totale, in invasi con la forma di parallelepipedi rettangoli. Si è così potuto constatare che, per queste tipologie di invaso, la piena ha una forma tipica caratterizzata da un massimo, Q0, di valore Q0 =a QR ove QR è la portata calcolabile con la formula di Ritter, nella quale la larghezza è posta pari all'apertura della breccia, mentre a è un coefficiente numerico, maggiore di uno, che dipende solo dal rapporto b/B tra la larghezza della breccia, b, e quella complessiva dello sbarramento, B.
Il valore di portata massima Q0, salvo oscillazioni dovute a propagazioni secondarie, si mantiene praticamente costante tra l'istante iniziale e un istante t0, sostanzialmente pari al tempo necessario affinché l'onda negativa di svuotamento raggiunga il punto di massima distanza dalla breccia per poi tornare alla breccia stessa. Tale tempo è quindi stimabile mediante l'eq. Come si vede dalla figura 6b, i valori stimati con la relazione precedente sono in sostanziale accordo con quelli dedotti dalle ricostruzioni numeriche delle onde di crollo dei casi esaminati. L'esaurimento della piena, infine, è stato assimilato allo svuotamento con legge a stramazzo di un serbatoio di volume pari a quello invasato nella diga alla fine del primo tratto orizzontale dell'idrogramma. Anche questa legge di esaurimento, espressa dall'eq., ha mostrato un ottimo accordo con le ricostruzioni numeriche.
Determinata quindi una metodologia semplificata per la stima delle onde conseguenti a crolli di sbarramenti delimitanti invasi a geometria parallelepipeda, si è provato ad applicare le ricostruzioni da essa ottenibili a serbatoi ipotetici localizzati in alcune vallate alpine. Le ricostruzioni numeriche effettuate hanno mostrato che quanto più la geometria delle curve di invaso si avvicina a una retta, cioè alla curva associata a un serbatoio parallelepipedo, tanto migliore è l'adattamento della piena derivante dalla metodologia semplificata a quella simulata. Tuttavia, anche quando la curva di invaso è abbastanza lontana dall'andamento lineare, l'onda semplificata appare ancora soddisfacente. Ciò mostra la sostanziale validità del metodo proposto; restano comunque da migliorare gli aspetti inerenti alla schematizzazione della geometria, rimuovendo le limitazioni che conseguono all'adozione di un invaso prismatico rettangolare a pendenza longitudinale nulla.

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