Il Secolo 4 dicembre 1923
Il conforto del Re alle popolazioni della zona flagellata
La spaventosa visione della catastrofe - Dichiarazioni di membri del Governo
sulle responsabilità
(dai nostri inviati speciali)
Darfo, 3 mattina.
(D.B.) Le primissime luci dell'alba, sono luci sanguigne, che rivelano con
orlature sinistre l'ampio drappeggio della nuvolaglia bassa. Ma, almeno, non
piove più. La ricerca dei cadaveri, nel limo di cui tutta la regione da Darfo a
Lovere è stemperata, e tra i massi e tra le rovine di Corna, e nelle acque
torbide dell'Oglio, e in quelle plumbee del lago, riprende attivamente.
Ma il lago, nel cui fondo si celano sicuramente dei morti, non restituisce, per
ora che nuovo legname scheggiato, che tronchi schiantati, che strane
suppellettili domestiche, ad aumentare le cataste di rottami che s'accumulano
sulle sue rive. I morti non li restituirà che deformati dal gonfiore.
Invece la melma, prosciugandosi rivela la sua preda umana, modellandola sotto un
ultimo strato di sabbia. E i macigni rimossi abbandoneranno, anche essi, le
povere carni dilaniate. Brandelli di carne, talvolta, che non hanno più
caratteri anatomici precisi, che non dicono più nulla dell'età e del sesso. Ma
il colore delle lividure, e soprattutto l'odore - un odore che non conoscevamo
ancora, che è orribile e che è vivo - suscitano la raccapricciante certezza
dell'istinto, nei ricercatori.
Brandelli umani
Alle 9 di stamane, i cadaveri
raccolti nella grande chiesa di Lovere erano 13. Ma il computo è di quelli che
possono lasciare angosciosamente perplessi. Di fatto, sono trenta salme intere.
Gli altri tredici corpi sono dei rifacimenti, sono dei cumuli di membra, di
tronchi, di orride deformazioni.
L'antica cattedrale, curvando pietosamente le sue volte sopra quei morti, ha
lasciato che all'odore dell'incenso si sostituisse nelle navate quell'altro
odore, di carnaio.
Il pretore ha sollevato per noi i lembi di qualche lenzuolo. Basta, basta,
abbiamo visto, non vogliamo vedere di più. Meglio accendere altri ceri, meglio
piangere, sommessamente, come quelle due donnette che si reggono a vicenda, e
che non sanno ancora se il loro morti siano tra questi morti.
Nell'ospedale di Darfo, 84 salme. Non si sa come, in questa plaga che è tutta
fango, si sono raccolti dei fiori, per metterli, a fasci, accanto alle salme.
Anche la Cappelletta del Sacro Cuore, ch'è rimasta in piedi, in frazione di
Corna, e dove ci sono altri 36 morti, è tutta fiorita di fiori di campo.
Ma non si possono ancora tirare le somme. Bisogna cercare, scavare, bisogna
attendere ancora. Militi della Milizia nazionale, alpini, fanti, scavano e
frugano, aiutati da quella parte della popolazione superstite che trova in sé la
forza di farlo.
Gruppi di donne stanno a guardare, senza parole e senza lacrime, e obbediscono
docilmente se qualcuno, per necessità di lavoro, o per far largo a un corteo che
reca decine e decine di bare di abete, le fa allontanare col gesto.
Più tardi, verso le dieci, si avviano, donne e uomini, verso quelle località
dove indovinano che il Re, che giungerà fra poco, vorrà fermarsi più a lungo.
Nei pressi dell'ospedale, e della grande ferriera semi demolita, e di quel caos
di massi enormi che ha sepolto sotto di sé quasi tutta la frazione di Corna.
Il Re tra le bare
L'annuncio della visita del
Sovrano, ha suscitato parole di conforto, di speranza, di riconoscenza. Eppure
nessuno pensa di chiedergli nulla.
Il Re è giunto a Darfo, in automobile, alle 11. Proveniva dalla stazione di
Pisogne, dove, pochi minuti prima era sceso dal treno speciale. Lo
accompagnavano e lo seguivano in altre automobili di onorevoli Carnazza, Finzi,
Bonardi, Farinacci, Ducos, Belotti, il generale Cittadini, il generale Cattaneo,
il prefetto di Bergamo, commendatore Cantore, il console Turati, altre
personalità. Il Ministro dei LL. PP. onorevole Carnazza, aveva già messo al
corrente il Sovrano della reale entità del disastro. E il Re volle che la
visita, che avrebbe dovuto avere un itinerario più limitato, comprendesse quanto
più possibile della zona colpita.
Appena a Darfo, si avvia, a piedi, su per la stradetta, ripida che porta
all'ospedale. Sul breve piazzale, davanti all'edificio, sono ad attenderlo,
oltre alla folla, il vescovo di Brescia, Monsignor Caggia, e quasi tutti i
parroci della vicaria di Darfo.
Il Re, seguito da poche persone, entra nel doloroso edificio. Passa tra le bare
allineate nel cortile, su ciascuna delle quali è posato un ramo verde, e giunge
nella grande sala trasformata in camera mortuaria. Il Sovrano s'è tolto il
berretto, e s'è soffermato un istante, preso dalla commozione invincibile. Poi
si guarda attorno, senza dire nulla; e riprende a passo più lento l'atroce
visita. Il suo sguardo si sofferma sopra una mano contratta annerita, sporgente
da un lenzuolo, e su cui splende, lucentissima, una fede nuziale; sopra tutti i
particolari ipnotizzati di queste adunate di morti; vuole anche sapere la più
orrenda verità: quella dei brandelli umani, senza forma, senza nome.
Il Re passa nelle altre sale, dove, tra i malati, giacciono 17 feriti. Si
sofferma davanti a ciascuno di essi. Hanno quasi tutti il volto tumefatto, il
corpo coperto di ecchimosi. C'è, tra gli altri o un giovane, certo Nulli, unico
superstite di una famiglia di cinque persone. È ferito alla testa, alle braccia,
alle gambe; e sa della sorte toccata ai suoi. Il Re gli rivolge parole di
conforto ed esprime con lui la sua costernazione.
Alle Ferriere di Voltri
Uscito dall'ospedale prosegue,
sempre a piedi, oltre il ponte che allaccia Darfo alla frazione di Corna. Le
autorità lo seguono. Entra così nella zona più devastata del comune. Giunge fino
alla passerella fragile, buttata provvisoriamente tra i massi rotolati giù dal
monte, giù dalla gola della Val d'Angolo, e tra i quali passa ancora gonfio e
torbido il torrente. Si trattiene a lungo a guardare. Mentre il commendator
Cantore gli ricostruisce la catastrofe, il Sovrano fa cenni come di stupore,
come di incredulità. Ma la ferita del monte, su in alto, dove la valle s'apre
con un salto sopra il letto inferiore del torrente, è là, come una gran macchia
di sangue, a provare che proprio i massi enormi sono franati a completare, come
la valanga di acqua e di fango, la distruzione del paese.
Il Re si passa, con un moto rapido, una mano sugli occhi. E mormora: -Che
disastro! Che disastro!
Poi, vuole visitare l'interno della Ferriera di Voltri, che ha avuto tutt'un
fianco asportato, netto, dalla violenza dell'urto. Passa tra le pozzanghere, nel
fango, sopra i cumuli dei rottami. Gli sterratori, al passaggio del Re,
sospendono il loro lavoro, si scoprono, poi riprendono a scavare.
Questo grande cortile, che ora è un pantano, era diventato in pochi secondi una
vasca e un gorgo, dentro cui parecchie persone trovarono la morte. Ma fu anche
il teatro di un episodio eroico. Arrigo Martinelli, il figlio sedicenne del
capo-fabbrica, s'era messo in salvo sopra il tetto d'uno dei capannoni
prospicienti il cortile. Ma tra coloro che si dibattevano nell'acqua, scorse la
madre, la sorella, un'altra donna. E si buttò giù tre volte, e riuscì a trarre
in salvo le tre persone che gli erano care. Il salvataggio della sorella fu il
più difficile, poiché più d'una volta la corrente impetuosa gliela strappò dalle
braccia che già la tenevano salda.
Il Re passa sotto le cascate, sotto le volte che minacciano, dalle profonde
fenditure, di crollare del tutto, giunge a quella che fu la sola delle dinamo,
che ora è aperta sul torrente, e che ne è lambita. Le dinamo alzano ancora, dal
fango, la loro sagoma di gigantesche lumache. Sulla pendice della opposta
montagna i condotti tubolari scendono, diritti, fin quasi al pelo dell'acqua: ma
lì sono stroncati, come un taglio reciso. E da quest'altra parte, due mozziconi
di tubi segnano il punto in cui la forza dell'acqua che essi imprigionavano
diventava luce e moto. Ora l'acqua passa via gorgogliando e spruzzandoli.
Anche su questo argine creato dai muri rovesciati il Re si trattiene a lungo.
Da Corna a Dezzo
(Dal nostro inviato speciale)
Bergamo, 3 notte
(D.B.) Dopo Darfo, quasi tre ore d'automobile per giungere a Dezzo. La vettura
reale precedeva il lunghissimo corteo su per le svolte ripide, ad un'andatura
che esprimeva l'ansia di giungere. Ed era l'unica vettura scoperta, che rimase
scoperta anche quando, assai prima che si giungesse alla Cantoniera della
Presolana, cominciò a nevicare. La notizia del passaggio del Re era corsa, forse
poche ore prima, di borgata in borgata, di paese in paese, era giunta fino ai
casolari degli alti pascoli. E le popolazioni, fuori, a far gesti affettuosi di
saluto, a porgere l'omaggio degli archi improvvisati con rami di pino, ad
agitare bandierine tricolori. Molti di quei montanari erano stati toccati anche
essi dal flagello. Vi avevano lasciato amici e parenti. Ma volevano ringraziare
il Sovrano. Nella parte alta, in una regione senza più alberi, senza più case, e
sotto il turbinio della neve, una bandiera sventolava fissata ad una antenna. E
lì accanto una vecchia, dall'aspetto di una centenaria, sorretta da due
giovanette, era rimasta ad attendere il passaggio del Sovrano, e gli aveva
fatto, con la mano scarna, un accenno tremolante.
L'orrida Via Mala
Alla cantoniera c'è folla, ci
sono automobili, autocarri. Se ne intravedono di quelli recanti il segno della
Croce Rossa. È (apprendiamo dopo) la folla di superstiti che hanno lasciato la
Valle di Scalve e la Via Mala, dopo che la rovina aveva distrutto le loro
famiglie e le loro case. Gli autocarri sono quelli che hanno recato i primi
soccorsi. A Dezzo, i primi aiuti in generi di conforto sono giunti da Milano.
Due autocarri carichi di bevande e viveri. Giunsero l'altra notte, all'una. E la
discesa dalla Cantoniera a Dezzo è difficile, per le automobili, anche di
giorno.
Quando ci si affaccia alla Valle di Scalve, la Via Mala si rivela
improvvisamente, in tutto il suo orrido grandioso. Essa si sprofonda sotto di
noi, a centinaia di metri più in basso, e disegna il fondo col nastro sottile e
giallastro del torrentaccio.
Le automobili scivolano caute, rasentando il precipizio ad ogni svolta. E nevica
sempre. Le vette scompaiono nel grigiore fumoso, perché, in basso, la Via Mala
possa incidersi con colori più foschi, con dettagli più duri. La Corna di San
Fermo è il baluardo che sembra sostenere tutta la parete vertiginosa che si
svolge in direzione di Angolo e di Mazzunno. Man mano si scende, si vedono le
striature longitudinali che alla base di codesta parete, segnano il passaggio
forzato dell'acqua dentro la strettissima gola. Nessun segno di vita. Una
striscia lucida, che segue a mezza costa la sinuosità della parete, è la strada
scavata a colpi di mina, nitida come le nostre strade asfaltate, dopo un
acquazzone.
Fra poco, saremo a Dezzo. L'imbocco della Val d'Angolo verso cui converge la
strada percorsa dal corteo reale, si allarga di poco, per diventare qualcosa
come una enorme buca colma di fango anch'essa. Poi, un ampio greto, una specie
di vasta piattaforma pietrosa: e su, in un angolo, sotto una breve sporgenza di
rocce, un gruppo di povere case di montagna. È Dezzo!
L'automobile scoperta giungere assai prima delle altre e si arresta su quel
pianoro arido, dove niente, meno ancora che a Corna di Darfo, può far credere
che fino a tre giorni fa, sorgesse un grosso paese. E le poche case, sull'altra
sponda, rimaste in piedi, sono rovine di case, in mezzo a cui una popolazione
esigua, lacera, umile, rimane in silenzio ad attendere il Re.
L'angoscia del Re
Il Re va verso quelle persone e
quelle case superstiti, e vi trova degli applausi timidi, dei gesti di
benedizione. Si affaccia ad alcune case: non si può entrare; dentro è avvenuto
il crollo. Prosegue fino al sommo del breve sopralzo, dove squadre di militi
lavorano da due giorni e da due notti a scavare, a riattare. Squilla l'attenti.
Le pale e i picconi arrestano la loro opera. I militi salutano romanamente.
Dal sommo si scorge il campanile di Vilminore, e si intravede la vallata del
Gleno. La grande morte è venuta s'è precipitata di lassù. Il Re guarda, coi suoi
chiari occhi, fissamente, mentre gli ripetono le fasi brevissime del disastro:
la scomparsa della strada, il rimbalzo dell'acqua, da quel punto in cui Egli si
trova, sopra la parte più grossa e più moderna del paese, il livellamento di
tutto sotto quel mostruoso fiume da cui - assicura chi ha visto - si
sprigionavano persino vampate di fuoco.
Poi ridiscende. Scambia alcune parole coi sindaci dei due comuni di Colere e di
Azzone, a cui le due parti opposte di Dezzo appartengono, per chiedere loro il
numero degli scomparsi. Quello di Azzone (la frazione meno colpita) ne ha persi
47; quello di Colere, 110.
Vede tra i militi che lavorano, un mutilato di un braccio. Lo interroga. È un
ex-alpino, Luigi Masselli. Ha lasciato il braccio sull'Ortigara. Ora è qui a
compiere un altro dovere.
Il Sovrano riparte. Ha nel viso una espressione di angoscia che vince quella,
consueta, della fierezza.
La partenza del Re
Bergamo, 3 notte.
Il Re è partito da Bergamo alle 6, dopo essersi fermato alcuni minuti di fronte
alla Prefettura.
Alla stazione, numerosa folla ha acclamato al suo indirizzo e all'indirizzo
dell'onorevole Finzi. Il Sovrano sì è più volte affacciato al finestrino, prima
che il treno partisse. L'onorevole Belotti e l'onorevole Gavazzeni della nostra
circoscrizione, hanno interpellato il Governo per conoscere le cause del
disastro che ha funestato le Prealpi Bergamasche.
Una interrogazione al Senato
Roma, 3 notte.
È stata presentata, al Senato, una interrogazione dell'onorevole Romanin Jacour
al Ministero dei LL. PP. "per avere notizie intorno al grave disastro di Dezzo e
più per conoscere quali provvedimenti di vigilanza intenda adottare il Governo
per impedire, nel limite del possibile, il ripetersi di consimili disastri ".
Le responsabilità
(Dal nostro inviato col treno reale).
In treno, 3 notte.
(N.U.) Stamane sul tratto Brescia-Pisogne abbiamo avuto occasione di
intrattenerci, a bordo del treno reale, col sottosegretario alla Guerra
onorevole Bonardi, il quale oltre che avere vivissima e recentissima
l'impressione dell'immane disastro che ha colpito le fiorenti vallate di Gleno,
d'Angolo, e Camonica, avendo egli trascorso tutta la giornata di domenica a
Corna e a Dezzo, era in grado di riferire le sue impressioni sulle reali o
presunte, o sospettate responsabilità del disastro. Scartata immediatamente
l'ipotesi del dolo, il sottosegretario alla Guerra ci ha dichiarato che in
effetti alcune serie responsabilità pesano direttamente su persone che avrebbero
potuto da un tempo adottare delle misure di maggiore precauzione.
Non crediamo opportuno raccogliere i rilievi che altre personalità, di ritorno
dai luoghi devastati, ci hanno spontaneamente esibito, tanto più che essi
rispondono disgraziatamente alle voci già diffuse, anche se in un certo senso un
po' esagerate, fra le popolazioni delle valli traverso le quali è passata la
sterminatrice "valanga d'acqua".
Ma non crediamo di tacere le notevoli dichiarazioni fatteci stamane dal
sottosegretario alla guerra On. Bonardi, dichiarazioni che assumono un
particolare valore data l'autorità della persona da cui ci venivano fornite.
Inoltre, risulterebbe che da oltre due settimane era stato inoltrato un reclamo
che accennava chiaramente alla poca garanzia di consistenza della diga che
conteneva il bacino di Gleno.
Abbiamo perciò voluto domandare conferma di tale importante circostanza allo
stesso Ministro dei LL. PP. on. Carnazza il quale dopo un attimo di perplessità
ci ha dichiarato che la cosa era esatta nonostante che tale reclamo non fosse
stato formalmente inoltrato.
Ma più esplicitamente il Ministro Carnazza sì è espresso stasera quando abbiamo
insistito per avere le sue impressioni sulla entità del disastro:
"Tanto più dolorosa e profonda - ci ha risposto il ministro - è la mia
impressione in quanto, secondo la mia convinzione personale, dico mia
convinzione personale, ritengo che effettivamente vi siano delle responsabilità
da appurare e da colpire".
Ripetiamo testualmente le parole dell'onorevole Carnazza che ribadiscono quanto
ci ha detto stamane anche con maggiore precisione il sottosegretario Bonardi e
stasera il sottosegretario all'interno onorevole Finzi; e stante la gravità
delle circostanze e la delicatezza delle indagini necessarie all'accertamento
delle personali responsabilità, per il quale è in corso un'inchiesta che sarà
condotta col massimo rigore, non riteniamo opportuno raccogliere altre
deposizioni, anche se autorevoli.
Ma se risulterà esatto che la costruzione della diga di Gleno appariva
inizialmente non abbastanza resistente alla pressione esercitata dal volume
dell'acqua contenuta nel bacino; che pei lavori di essa vi tenne deplorevolmente
conto di alcuni criteri imposti da persona non assolutamente tecnica; che la
diga non poteva reggere alla colma massima, la quale deve pur sempre essere
considerata come una misura di collaudo in continua e reale efficienza; che di
recente furono prospettati dei dubbi e si ebbero perciò degli allarmi, sulla sua
validità; se ciò risulterà esatto non sapremmo come non invocare anche da parte
nostra, contro i colpevoli quel rigore che per quanto grave e implacabile non
sarà mai commisurato al danno e al lutto di questi tragici giorni.
L'inchiesta giudiziaria
Bergamo, 3 notte.
Ieri sera il Giudice istruttore di Bergamo avvocato Cavaliere Pace faceva
richiesta all'ufficio di Istruzione della Procura di Milano di un ingegnere
idraulico onde affidare il compito di studiare le cause della rottura della diga
del lago artificiale del Gleno. Il Consigliere istruttore commendatore Montanari
provvide inviando sul posto un insegnante di ingegneria del Politecnico.
La variazione alla diga non fu mai autorizzata
Roma, 3 notte.
La tribuna ha attinto a fonte competente i seguenti dati circa lo svolgimento
avuto presso l'amministrazione dei LL. PP. della pratica per la costruzione
della diga di Gleno. Il disastro della diga di sbarramento del torrente Povo
nella piana del Gleno in provincia di Bergamo si riferisce a una utilizzazione
di acqua della quale è concessionaria la ditta Galeazzo Viganò in virtù di un
decreto prefettizio 31 gennaio 1917. Il torrente Povo riceve nella sua parte
superiore e in destra a Val Saline, e nella sua parte inferiore destra, il
torrente Nembo.
I termini della concessione
L'accennata concessione del
prefetto di Bergamo consentii alla ditta due utilizzazioni: di derivare acqua
dal Povo superiore mediante la costruzione di un serbatoio a bacino artificiale
di ritenuta e di scarico nella località detta Piana di Gleno in territorio del
comune di Oltrepovo e di Vilminore, nella misura di litri 250 al minuto secondo
per produrre col salto utile di metri 310,64 la potenza di cavalli dinamici
nominali (H.P.) 1702,13 in una centrale detta dei Molini di Povo; di derivare in
sponda destra del Povo inferiore e in sinistra dell'affluente Nembo nel
territorio del comune di Oltrepovo e con prese d'acqua dal torrente Povo, al di
sotto dello scarico dell'utilizzazione sudescritta, il volume complessivo di
litri 375 al minuto secondo per produrre, sul salto di metri 182 la potenza di
H.P. 911,35 con centrale elettrica in Val Bona.
La potenza dei successivi due impianti risultava così di complessivi H.P.
2616,18. La restituzione delle acque fu prevista poco a monte della confluenza
del Nembo col Povo. La suddetta concessione fu eseguita in base a progetti di
massima, l'uno a firma dell'ingegner A. Tosana, l'altro concernente varianti al
bacino di ritenuta al piano di Gleno a firma dell'ingegner Giovanni Zaretti e
dell'ingegner Giuseppe Ginur. Per difficoltà derivanti dallo stato di guerra, il
ministero accordò una proroga richiesta dalla ditta per la presentazione dei
progetti esecutivi.
La proroga fu fissata al 30 settembre 1918.
Il Genio Civile di Bergamo approvò poi in data 28 marzo 1921, il progetto del
primo impianto, quello dal Povo Superiore. Il 13 dicembre 1922, il Genio Civile
informò il Ministero che la ditta aveva prodotto i chiesti progetti delle
utilizzazioni sussidiarie del Povo inferiore nonché un progetto per allacciare
nell'impianto superiore nel serbatoio di Gleno la Val Saline col tributario
Bella Valle, col contributo annuo di 200.000 mc. a cui corrisponde una portata
media ridotta continua pari a litri 40 al minuto secondo, capace di produrre sul
salto alla centrale di Molini di Povo, la potenza di H.P. 266. Su tutti questi
progetti si sarebbe dovuto compiere una unica istruttoria e il genio civile
avvertiva che la ditta intanto chiedeva la dichiarazione di urgenza e
indifferibilità dei lavori per le derivazione sussidiarie di Val Saline e Bella
Valle, del Nembo, del Tino.
Una diffida alla ditta Viganò
Il Ministero, rivelato che si
faceva della questione dello sbarramento al piano di Gleno e di altre relative
all'atteso progetto, richiamò prontamente il 21 dicembre 1922 l'ufficio del
Genio Civile affinché fosse fornito ogni altro elemento attinente al serbatoio
di Gleno. E inoltre, quando il Consiglio superiore dei LL. PP. con voto del
primo marzo 1923 ebbe a dare parere favorevole per la dichiarazione di urgenza e
indifferibilità dei lavori attinenti all'utilizzazione dei corsi d'acqua minori,
il mistero prima di darvi esecuzione, impartì categorico disposizioni al Genio
Civile affinché notificasse alla ditta un breve perentorio termine per la
presentazione del progetto esecutivo completo, relativo all'impianto del Povo
Superiore con la creazione di serbatoio al piano di Gleno.
E per coordinare ogni provvedimento sulla complessa utilizzazione, avrebbe
dovuto la ditta presentare una riassuntiva domanda per l'esecuzione delle
diverse varianti, con allegati vari progetti; e su di essa si sarebbero esperite
le pubblicazioni previste dalla legge.
Solo dopo ottemperato a ciò, il Ministero avrebbe dato corso alle dichiarazioni
di urgenza e indifferibilità dei lavori per le utilizzazioni minori deliberate
dal Consiglio Superiore. In seguito a tale pressione il Genio Civile di Bergamo
informò il 31 maggio 1923 il Ministero che la ditta Galeazzo Viganò aveva
presentato la istanza riassuntiva in data 18 maggio 1923 nonché il progetto per
il Povo Superiore con dello sbarramento di Gleno.
Assicurato di tale adempimento, si diè corso con decreto ministeriale 3 luglio
1923 alla dichiarazione di urgenza e indifferibilità dei lavori per le
utilizzazioni minori. L'ufficio del Genio Civile ha proceduto poi alla
pubblicazione degli avvisi nel foglio annunzi legali della provincia di Bergamo
e nella Gazzetta Ufficiale.
Da quanto sopra, emerge che la variante alla struttura della diga non fu mai
autorizzata.
Il Ministro volle che la ditta producesse l'elaborato tecnico relativo allo
sbarramento del serbatoio ad archi multipli. Non pare dunque che la ditta si
attenesse strettamente alle esigenze reclamate dalla pubblica amministrazione;
vi fu anzi una regolare diffida. Ora si dovrà pronunziare il Consiglio Superiore
dei LL. PP. non appena saranno state eseguite le varie inchieste tecniche
disposte dal ministro Carnazza, il quale come è noto, trovasi sui luoghi del
disastro.
La solidarietà di Milano
Il Comune a capo del comitato di soccorso
Le notizie sempre più angosciose
dell'immane catastrofe che si è abbattuta nella valle di Dezzo e nella
Valcamonica hanno avuto ed hanno una profonda eco di dolore nella nostra
cittadinanza. Ed è facendomi veramente interprete dei sentimenti dei milanesi,
che il sindaco senatore Mangiagalli, non appena avuto sentore della orrenda
sciagura ha pensato alla costruzione di un comitato di soccorso, che valga a
lenirne nei umili del possibile, le conseguenze.
Così, ieri mattina, convenuti dal senatore Mangiagalli nel gabinetto sindacale a
palazzo Marino, sono convenuti gli assessori presenti a Milano - Radice-Fossati,
Alfieri, Dall'Ara, Chiodi, Jarach, Piazza - per ... ha i mezzi più opportuni
onde Milano ... con tutte le sue possibilità e il suo grande cuore, alla opera
umana e fraterna di soccorso.
Gli assessori Alfieri, Chiodi Dall'Ara che si erano recati sul posto hanno fatto
una diffusa relazione sulle visite compiute in tutta la zona della devastazione,
e sulle informazioni dirette avute presso le autorità, le quali hanno accolto
con vive espressioni di riconoscenza e pronto intervento del Comune di Milano.
(...)
Gabriele D'Annunzio a Darfo
Darfo, 3 notte.
Poco dopo la partenza di S. M. Il Re è giunto a Darfo il comandante D'Annunzio,
accompagnato dall'avvocato Masperi di Brescia.
Il comandante ha visitato i feriti ricoverati all'ospedale rincuorandoli e
dicendo loro che possono sentirsi figli del miracolo. Dopo la visita ai cadaveri
delle vittime, accompagnato dal sindaco del paese e dal comandante Turati, ha
visitata la ferriera di Voltri dove la rovina appare in tutta la sua gravità. Il
comandante ha detto di essere questa la terribile prova che deve saggiare
l'unità della Nazione e che occorre un paziente sforzo di ricostruzione. Prima
di partire il Comandante ha espresso la sicurezza che tutte le camicie nere
sapranno volere la rinascita dei paesi distrutti per la ripresa di tutte le
energie e della produzione. (...)
D'Annunzio come offerta personale ha lasciato 6500 lire al sindaco di Darfo.
D'Annunzio è ripartito per Gardone Riviera alle ore 16,45.