Il Secolo domenica 2 dicembre 1923
Terrificante catastrofe nelle Alpi bergamasche

Il lago artificiale del Gleno gonfiato dalle piogge travolge la diga - Otto milioni di metri cubi d'acqua precipitano su Val d'Angolo - Interi paesi distrutti - Corna di Darfo sepolta sotto i massi - Oltre 600 morti - A Dezzo su 500 abitanti solo cinque sono salvi

(Servizio speciale del "Secolo")

Clusone, 1 notte.
(P.M.B.) Questa mattina verso le undici, si era sparsa a Bergamo una spaventevole notizia: nella Valle di Scalve, la rottura di una diga del grande lago artificiale che si sta costruendo a Dezzo, e che è in parte già ultimato, aveva originato un impressionante allagamento in quella zona causando la distruzione di parte del comune di Vilminore, e dei paesi di Dezzo, Mazzunno, Corna e Bueggio.
Le prime notizie giunte telefonicamente da Gazzaniga, informavano che nel disastro avevano trovato la morte più di un centinaio di persone, la maggior parte fra gli abitanti di Dezzo. In Prefettura, dove ci siamo immediatamente recati per controllare la notizia, non ci fu possibile conoscere altri particolari.
Intanto il Prefetto emanava ordini affinché la questura e i Carabinieri si recassero sollecitamente sul luogo assieme al Genio civile. Contemporaneamente il Prefetto avvertiva il comando del Presidio perché tutti i militi fossero immediatamente mobilitati, e equipaggiati e tenuti pronti nelle caserme.
La Milizia volontaria nazionale in mezz'ora era stata raccolta nel cortile della Prefettura, così pure i pompieri e la pubblica assistenza nonché varie squadre di combattenti.
Un ulteriore ordine del Prefetto disponeva che tutte le forze pronte partissero alla volta della Val di Scalve, su camions.

Il tragico annunzio

Un'impressione tragica intanto si era diffusa nella città. Le prime notizie in breve avevano assunto proporzioni fenomenali. La sfilata dei camions con i Carabinieri e truppa aveva generato un panico indescrivibile; essendo poi interrotte tutte le comunicazioni telefoniche e telegrafiche e non essendo possibile controllare la portata della disgrazia, il panico e il dolore assunsero un carattere di tragicità di cui nessuno ricorda l'eguale.
Con i soccorsi partimmo anche noi, precedendo l'automobile che recava nella valle in cui si è scatenato il disastro, il Prefetto, il Questore, il Commissario Lo Turco e l'ingegner del Genio civile. Giacché le prime notizie informavano che anche la strada della Valle era impraticabile, risaliamo la valle Cavallina per raggiungere Lovere, sul lago d'Iseo, e conoscere i primi particolari per arrampicarci poi per la Via Mala e raggiungere Dezzo.
Il tempo è infernale. Piove a dirotto. Il vento si abbatte giù, a fondovalle, con una rabbia disperata. Ed i massicci delle montagne, immersi in un mare di nebbia, sembrano sprofondarsi in una vastità senza limite. Il freddo è intenso.
Via via che ci avviciniamo, le notizie che qualcuno ci porta dal luogo della sciagura, sono propagate con un crescendo tragico, aumentano l'ansietà dell'ora disperata. A Lovere, infatti, veniamo informati con maggior precisione. L'avvenimento ha assunto proporzioni sempre più gravi. Sembra di vivere a un tratto in un regno d'incubo e di leggenda.
Ed ecco, appena lasciato l'estremo confine orientale del lago d'Iseo, apparire la zona devastata; siamo nel comune di Bessimo, un paesello appollaiato sotto il monte. Su tutta la campagna è passata l'ondata tremenda di distruzione: gli alberi sono divelti, i raccolti del granoturco portati via e accumulati contro i resti delle case. Vediamo, in un macabro groviglio, fra le macerie, cadaveri umani e bestie da stalla. Proseguiamo per Corna, frazione di Darfo, al confine fra la provincia di Brescia e la provincia di Bergamo.

Un paese schiacciato

Come ci avviciniamo a Corna questa scena desolante che dà brividi di pianto, si fa più fosca. La pioggia inesorabile che cade senza sosta, il grigiore che avvolge le mura, i campi, i fossati; la lista dei morti, le case rase al suolo, ci riempiono l'animo di uno spasimo senza nome. La rovina è passata dappertutto.
Ci avviciniamo ancora più al paese provato da tanta sciagura: Corna e proseguiamo a piedi perché anche la strada è impraticabile e piena di sassi e di arena.
Dove prima sorgeva attorno al grande stabilimento delle acciaierie di Voltri, un grazioso paese, formato per la maggior parte di costruzioni nuove che lo assomigliavano ad una graziosa cittadina, ora è un cumulo caotico e disordinato di massi giganteschi. La frana, enorme, sì è abbattuta con un disperato accanimento. Qualche muro è rimasto in piedi. Ma le povere case sventrate, rivelano la triste intimità dei focolari distrutti. Fra le macerie, mobili rustici spazzati via dalla furia delle acque; pagliericci che galleggiano ancora, una culla vuota, coperta da un gran fazzoletto rosso che somiglia a una pozzanghera di sangue.
Il paese è qui, sotto questa coltre mastodontica, scivolata satanicamente dalla montagna. E fra le mura triturate, giacciono almeno un centinaio di cadaveri. La morte ha sorpreso la popolazione nel mattino oscuro, quasi nella notte. La chiusa nel sigillo della pietra.

Una valanga di massi

Non è ancora possibile contare gli scomparsi. Di intere famiglie si ignora la vicenda tristissima. Qualcuno parla di 200 morti. Ci rivolgiamo per conoscere con precisione notizie al locale maresciallo dei Carabinieri, Giuseppe Marchi, il quale ha riportato una ferita ad un piede.
-Stamane, egli ci ha detto, verso le 8 e 5 minuti si è sentito un boato e poi come uno scoppio fragoroso. Sono accorso alla finestra e non ho più veduto, di fronte alla caserma, il palazzo di quattro piani che ivi sorgeva. Mi sono precipitato, come impazzito, nella mia stanza, in cerca di mia moglie e delle due bambine, poi mi sono affacciato ancora terrorizzato alla finestra e ho veduto una grande inondazione.
"Mi sono arrampicato quindi sul tetto, portando lassù mia moglie e le bambine. Aggrappati al camino abbiamo aspettato che l'impressionante lago formatosi sopra il paese scendesse al suo livello naturale.
Dopo un'ora non ho visto più quell'ammasso di acqua. Il paese era seppellito da massi alti dai 9 ai 10 metri. Restavano in piedi soltanto la caserma, due o tre cascine nel lato occidentale del paese e la chiesetta".
Il maresciallo aveva ancora gli occhi sbarrati e il viso pallidissimo.
Non si sa da che parte soffermare lo sguardo: non c'è tempo da raccogliere notizia. I particolari non si notano più. Giungono i primi soccorsi: centinaia di militi fascisti e di borghesi lavorano come un sol uomo per rintracciare e raccogliere i cadaveri.
In questa affrettata fatica, l'ala della morte batte a intervalli. Ecco un camion che reca cinque cadaveri, trovati in mezzo alla campagna. Volti terreni che si tendono ancora in una smorfia macabra, o mani raggrinzite, rimaste rigide in un ultimo sforzo disperato. I cadaveri vengono composti sul sagrato della piccola chiesa rimasta in piedi miracolosamente. Ed ecco tornare, dai campi ridotti ad acquitrino, e scivolare giù dalle fratte nuovi volenterosi, che hanno raccolto frammenti di membra umane e tronchi irriconoscibili. La furia delle acque ha tutto franato, schiacciato, triturato.

Cadaveri trasportati per 25 chilometri

E la pioggia cade, instancabile, ritmica. Si abbatte ora a grandi raffiche gelate, come se volesse spazzar via la traccia della rovina. Attraverso la sua velatura argentea, il paese che non esiste più, mostra le orrende ferite della sua fine. Un silenzio pauroso grava ed incombe su tutto. Sola, la voce di Don Bernardo Moro, il parroco del paese, uno dei pochi sopravvissuti, dice le preghiere dei morti...
Squadre di soccorso intanto giungono anche da Brescia e squadre dei pompieri da Lovere. Sui macigni si getta un ponte per attivare il passaggio fra Darfo e la distrutta frazione di Corna, fra cui passa l'Oglio in piena. Via via che giungono i soccorsi, questi vengono impiegati alla ricerca dei morti, anche perché sì è sparsa la notizia che i cani randagi vaghino per le campagne alla ricerca dei cadaveri.
Raccolte così le prime impressioni sul disastro a Corna e per rintracciarne con precisione le cause, abbiamo lasciato il paese per recarci a Dezzo, dove ha avuto origine la valanga di acqua. Dopo aver invaso tutta la Valle di Scalve e la vallata di Gorzone, l'acqua ha investito in pieno le montagne che proteggono Corna e le ha sfaldate formando i macigni che hanno seppellito il paese di Corna.
Ritorniamo, così, sui nostri passi, e da Lovere risaliamo a Clusone, in Val Seriana. Durante il ritorno dobbiamo spesso fermare le nostre automobili perché ai lati della strada sono stati, nel frattempo, deposti altri cadaveri. In un punto vi sono quattro giovani donne denudate e il tronco di un uomo. Nessuno nel paese di Corna e della frazione del luogo detto "i massi" le riconosce. Qualcuno afferma che quelle salme sono di abitanti di Dezzo. Sarebbero così state trasportate dalla valanga di acqua da una distanza di 25 chilometri e da un'altezza di oltre 2000 metri percorrendo tutta la valle.

La ciclopica diga

Ora, il maltempo si placa. Il vento ha spazzato via la nebbia. Ma il grigiore della nuvolaglia permane, in questo tragico e taciturno squallore. Sappiamo, appena giunti a Clusone dall'ingegner Galli, del cotonificio in Val Seriana, che l'intero paese di Dezzo è raso al suolo e che soltanto cinque persone sono superstiti dell'intero paese che conta 300 anime. Il disastro assume così proporzioni spaventose. Conosciamo ora approssimativamente il numero dei morti che si crede superi i 600.
La diga che sbarrava il lago sorgeva a quattro chilometri sopra il paese di Dezzo. Il serbatoio di acqua conta circa 8 milioni di metri cubi d'acqua. La centrale elettrica servita dal serbatoio forniva la forza motrice a tre grandi stabilimenti industriali della Bergamasca che sono "Zopki" e la Società Italiana Cementi e Calce di Bergamo, nonché il Cotonificio della Val Seriana, di Gazzaniga. La centrale elettrica era sotto la ragione sociale "Viganò e compagni" di Milano.
La costruzione di questa diga che raccoglieva le acque scolanti dal massiccio del Gleno e della circostante montagna, era stata costruita circa due anni or sono. Ha lo spessore di 30 metri e la larghezza di un chilometro e sbarra la valle di Gleno a un'altezza di circa 2000 metri sul livello del mare, fra la punta di Pianezza e il monte Sasna. Contiene le acque del torrente Povo, che proviene direttamente dai nevai del Monte Gleno, formando un grande bacino della lunghezza di circa quattro chilometri e dalla larghezza di circa 2 chilometri.
Per farsi un'idea della grandiosità di questa ciclopica costruzione, basti dire che essa è costata la cifra di 30 milioni.

L'ondata distruttrice

Fino ad ora non è possibile dare altri particolari. Il paese di Dezzo, dove siamo arrivati a notte inoltrata, non esiste più e anche nella frazione di Bueggio e di Corna si stanno ricercando attivamente i cadaveri, la maggiore parte dei quali si ha ragione di ritenere siano nel fiume Oglio e nel lago d'Iseo.
Il dolore immenso di tutta la provincia bergamasca è indescrivibile. In tutti i paesi la popolazione è fuori delle case per avere notizie.
Abbiamo avvicinato due superstiti che furono testimoni oculari a corna, i dottori Chiesa di Lovere e Pennacchio di Esine.
Il dottor Chiesa si trovava stamane verso le ore 7.40 nei pressi dell'ospedale di Darfo. Improvvisamente udì un cupo boato. Alzò gli occhi verso la valle che sovrasta il paese e vide una immensa ondata che precipitava, invadendo tutta la spianata di Corna e abbattendosi sulla sponda dell'Oglio. Quivi sorgevano una quindicina di case che andarono completamente travolte. Un centinaio di abitanti delle medesime e sembra siano scomparsi. Questa scena terrificante ebbe la durata di un baleno.
Proseguendo nella narrazione il dottor Chiesa dice che a Corna l'enorme cavallone d'acqua, ha scavalcato la montagna precipitando nel piano di Corna, già ricco di case e officine. Le prime case travolte e rase al suolo furono quelle della Centrale dove abitavano le famiglie Preafico e Mastinelli. L'ondata poi ha investito le Ferriere, le quali hanno resistito all'urto immane, rimanendo però completamente allagate. La corrente deviò allora verso lo stabilimento carburanti, che fu a sua volta ridotto a un cumulo di rovine.

Una scena pietosa

Furono poi investite le case degli impiegati delle Ferriere, il Ponte di Corna, la Trattoria popolare, la casa Garoni dove abitavano sei famiglie, la casa Gonicelli, il cinematografo, il bar, la casa Reale dove abitava la lavatrice Griselli, la quale fu poi trovata a 2 chilometri di distanza ancora viva, mentre tutti gli altri della famiglia sono scomparsi. Il paese è tutto rovinato ed è rimasto in piedi quasi per prodigio la casa Vertova, che si è potuta salvare perché una quantità di macigni travolti dall'ondata le hanno servito da argine, deviando la corrente. Il Cotonificio Turati a Darfo è salvo.
La violenza dell'afflusso è stata talmente spaventosa, che le acque dell'Oglio furono bloccate e rigurgitarono all'indietro verso Boario. Tutto il piano della Corna al ponte Barcotto è allagato completamente. Anche qui si hanno a deplorare molte vittime. La popolazione fugge alla rinfusa, terrorizzata e inebetita.
Altri morti si ebbero sul piano di Artogne, dove fu rinvenuto il cadavere di una donna con un bambino di tre mesi al seno. A Rogno si segnala il rinvenimento di 9 cadaveri, 15 ad Angolo, 10 a Mazzunno e 40 a Darfo. Tra le vittime vi è il segretario del Fascio di Darfo con tutta la famiglia.
Pare che lungo la valle di Dezzo, che segue immediatamente la Valle di Scalve, siano scomparse cinque centrali idroelettriche con tutti gli stabilimenti annessi, il direttore di uno di questi stabilimenti, il signor Cattaneo, si trovava assente. Al suo ritorno questa mattina ha saputo che aveva perduto nel disastro la moglie e due figli.
Gli ingegneri del genio civile che si sono recati sul posto per esaminare le cause della rottura e di accertare le responsabilità dei costruttori, non hanno ancora terminato il loro sopralluogo. Questa sera essi non si erano ancora pronunziati. Si ha ragione di credere che la grande diga abbia ceduto nei lati e cioè nei punti dove la muratura si incastra nella montagna.
Il custode della diga, che ha potuto salvarsi perché la cabina non è precipitata, ha detto che improvvisamente aveva veduto la grande muraglia squarciarsi e precipitare, nella sottostante vallata, la colossale valanga di acqua.

Salvataggio miracoloso

Un miracoloso salvataggio è stato quello di una squadra di operai che sentendo il boato, si sono rifugiati in una galleria della montagna. Quando costoro uscirono dai loro ripari, ebbero l'impressione di essere stati trasportati altrove. Invece erano di fronte a paese di Dezzo raso al suolo. Un ragazzo trasportato dalla precipitosa valanga si era salvato aggrappandosi ad un pino, poco dopo Vilminore. Raccolto dopo qualche tempo, fu trasportato a Clusone. Ma poche ore dopo è morto di paura.
Gli ingegneri e le squadre di soccorso sono intenti a costruire un ponte fra la parte sinistra di Azzone e il comune di Schilpario e di Vilmaggiore per venire in aiuto a quegli abitanti che sono privi di viveri. Le squadre di soccorso continuano a recuperare cadaveri e membra umane. Quasi tutti i cadaveri sono irriconoscibili e maciullati. È stato possibile rintracciare il cadavere di un impresario della diga, certo Arcangelo Pedrini.
Impressionantissimi sono gli spettacoli che offrono i boschi verso Bueggio. Vi sono dei punti in cui la roccia è stata spaccata. Di una casa poco lontana da Dezzo, sono state diverte anche le fondamenta. La strada dal Dezzo a Corna, che percorreva tutta la Valle di Scalve, non esiste più. Tutto è stato spazzato via.
Vivissima è l'agitazione in tutta la valle Seriana contro i costruttori della diga. Si conosce ora che sino dai primi tempi della costruzione tutta la popolazione della Valle di Scalve era preoccupata dall'immenso pericolo che si poneva al di sopra del paese. Apprendiamo che una agitazione vivissima è scoppiata anche nella valle Brembana perché si sta costruendo un grande lago artificiale nell'alta valle nella zona dei laghi Gemelli e a Barbellino.
Per domani si attende sul posto del disastro l'onorevole Bonardi. È pure annunciato l'arrivo del generale Cattaneo, comandante del Corso d'Armata di Milano.

La valle del disastro

Il Gleno è una delle principali vette delle Alpi Orobiche. È una torre elegante, slanciata, che balza su dal muraglione insolito (lo spartiacque) che separa la Bergamasca dalla Valtellina. Meglio che una torre: una piramide, che può ricordare vagamente gli aspetti del Cervino. Essa attinge i 2852 metri.
Dispone di ampi nevai, specialmente nel lato nord. Ma anche nel lato sud le sue riserve di ghiaccio e di neve sono abbondanti, al punto da giustificare il gigantesco sbarramento che, nell'angusta valletta che s'apre sopra Vilminore, era stato costruito.
Una valletta squallida che, prima di due anni fa, prima cioè che l'industria vi si impiantasse con una delle sue creazioni più moderne, era pressoché sconosciuta anche agli alpinisti. Essa - come la cartina dimostra - s'apre nella pittoresca Val di Scalve, sopra Vilminore, alla quota di circa 1100 metri.
E Vilminore, piccola e ridente, rossa di tegoli nuovi e bruna e azzurra di ardesie, fiorita di primule e di ginestre, alberghetti, piccole case intonacate, casupole dall'aspetto di baite, se ne stava nella breve conca formata dal confluire delle valli e delle vallette, percorsa dai torrenti canori, ad attendere ogni anno i molti amanti delle pendici di ameraldo, dei boschi cupi e profumati di resina, delle rocce grigie e azzurre che la coronavano, in alto.
Stava: purtroppo, anche per Vilminore, sembra che si debba usare il tempo passato.
Contava, secondo l'ultimo censimento, 1252 abitanti. Da Vilminore a Darfo in Valle Camonica si viene per l'orrida valle di Angolo. La chiamano la "Via Mala" bergamasca, tanto è incassata, profondamente, tra due pareti a picco, sopra le quali la strada s'è aggrappata incidendosi nella roccia viva. Il torrente Dezzo mugge nel fondo, paurosamente.
Ma non soltanto la strada era riuscita a vincere l'asprezza delle pareti strapiombanti, ma anche il serpe metallico delle condutture idrauliche vi aveva trovato i suoi appigli solidi, attingendo la sua ragione di vita al Dezzo.
Perciò, nell'orrore dantesco, piccoli paesi s'erano creati attorno alle baite sperduti. La frazione di Angolo, che dà il nome alla valle, e che si chiama così perché si trova a sorgere nel punto in cui la valle compie una svolta brusca, s'era in questi ultimi anni venuta aumentando, e aveva creato, più in basso, quasi ai margini del torrente, un'altra frazione, Mazzunno, dove le particolari ragioni topografiche avevano consigliato di erigere la piccola centrale della Società Elettrica Bresciana. Angolo, a mezza costa, dev'essersi salvata. Ma con la centrale di Mazzunno, anche l'abitato c'è ragione di credere che sia andato distrutto. E Terzano, e gli altri paesini, e le casupole sparse un po' dovunque?
La valanga liquida, di milioni di metri cubi di volume, deve avere interrotto anche il ponte - un vecchio ponte in muratura - che, appunto tra Angolo e Terzano, unisce le opposte pareti della valle, se si è abbattuta, ancora con violenza devastatrice sopra Darfo!
Dai 1018 metri di Vilminore, si scende, a Darfo, a 221 metri, con un percorso di poche decine di chilometri. Il forte dislivello aiuta a spiegare la potenza distruggitrice del colpo che anche su Darfo è piombato.
Darfo non aveva delle caratteristiche che potessero interessare granché il turista - se se ne toglie la chiesetta e un quadro attribuito al Tintoretto, che vi era custodito - ma andava diventando uno dei più floridi centri industriali della Valcamonica. Nei suoi stabilimenti si lavorava il tannino, il diamalto, il carburo di calcio, le bande stagnate, le leghe metalliche, il ferro-silicio, il ferro-cromo; e le sue case erano ricche di porfido e di pietra simona. Così tra i 1000 abitanti del comune, molti erano diventati operai, saldi, intelligenti, tenaci, come sono gli operai che nascono nella montagna.
È impossibile, nel groviglio ancora disordinato delle notizie, dire quale sia stata, veramente la sorte di Darfo. Si parla di 100, di 200 morti, di paese distrutto: poi si riducono le cifre, si limita la portata del flagello. Auguriamoci di doverne ridurne, per tutta la regione colpita, le proporzioni. E che, placandosi nell'ampia Valcamonica la valanga liquida si sia riversata, seguendo il corso dell'Oglio, nel prossimo lago d'Iseo, senz'altri danni.

I soccorsi di Milano

Stamane, accompagnati da funzionari e da ufficiali del corpo dei pompieri, partirono per la Valcamonica, per recarsi sul posto ove ieri s'è abbattuto lo spaventoso disastro, gli assessori ingegner Dall'Ara e avvocato...

Gli impianti idroelettrici del Gleno

Il bacino montano, che, col suo crollo, ha provocato l'immane disastro, era stato compiuto due anni or sono. Esso, con le centrali di Vilminore e di Vo (Dezzo) apparteneva alla ditta Galeazzo Viganò, di Ponte Albiate. Oltre alla distruzione di entrambe le centrali, la spaventosa valanga di acqua che ha ucciso persone e animali, che ha distrutto paesi e raccolti, pare che abbia demolito anche la piccola centrale di Mazzunno, in val di Angolo (impropriamente chiamata val di Dezzo) di proprietà della Società Elettrica Bresciana. Questa Società era anche la concessionaria dell'energia sviluppata dagli impianti del Gleno. Quali ... altri due centrali idroelettriche che mancano a formare il numero di cinque di cui si parla nella nostra corrispondenza, non ci è stato possibile, per ora, di precisare.
Sulle cause che possono avere provocato la catastrofe, i tecnici non avanzano alcune ipotesi, concordi come sono nel ritenere che il sistema di "diga ad archi multipli", dal quale lo sbarramento di val di Gleno era stato costruito, sia quello che offre le maggiori garanzie di sicurezza. Tanto che nella stessa giornata di ieri, anche da Milano sono partiti ingegneri specializzati in codesto genere di costruzioni, per rendersi possibilmente conto delle cause del crollo.
A spiegare la perplessità dei tecnici, sul fatto che le prove compiute fin qui da altre dighe, sono state, senza eccezioni, ottime; e che, con lo stesso sistema è stato costruito l'enorme sbarramento del Tirso, in Sardegna, destinata a formare un bacino di ... milioni di metri cubi di acqua: vale a dire ottanta, 100 volte maggiore di quello del Gleno.
Ma esso aveva già i caratteri della costruzione ciclopica. Sorgeva alla quota di 1000 metri sul livello del mare a sbarramento di una valletta normale alla Valle di Scalve, la Val di Gleno, per cui il torrente Povo portava al Dezzo (poco oltre Vilminore) l'abbondante scolo dei ghiacciai perenni. La diga, convessa rispetto alla testata della valle, si appoggiava alle opposte pendici tra ponte di Pianezza e Monte Sagna. Misurava un arco di quasi 2000 metri, aveva trenta metri di spessore; e, l'intera opera, era costata la bellezza di 30 milioni.
Non è facile, a parole rendere l'idea di "diga ad archi multipli". Tentiamo:
Il grande arco al quale abbiamo accennato è l'orlo superiore del bacino. Esso è sostenuto contemporaneamente dal contrasto di grandi piloni che poggiano, 50-60 metri più in basso, sopra solide basi, e di una serie di enormi tegole, adiacenti l'una all'altra, con la convessità rivolta verso l'interno del bacino. Tutto un altro sistema di archi, lega tra loro i piloni a mezzo e al sommo; dove, un sistema di saracinesche consente lo sfogo dell'acqua esuberante.
Quella destinata alla produzione dell'energia elettrica, viene invece costretta mediante tubi, a un assalto che - nel caso del bacino del Gleno - era di forse 400 metri, e creava, in basso, la ragione della prima e più importante centrale. L'acqua, nuovamente incanalata, andava quindi a creare un secondo salto per la centrale di Vo, e si scaricava poi nel Dezzo. Dove gli impianti della Elettrica Bresciana la raccoglievano nuovamente in opere ardite.
L'energia sviluppata dai primi due impianti, era di circa 16 milioni di kilowatts ora all'anno. Quella della centrale di Mazzunno era notevolmente inferiore. Tutte assieme è contribuivano alla illuminazione, alla trazione elettrica, alla forza motrice industriale, della regione bresciana.
Dati però le grandi riserve di cui la regione stessa dispone (basti citare i grandi impianti dell'Adamello) la sospensione dell'energia elettrica non va oltre le valli di Gleno, di Scalve, d'Angolo, così duramente provate.

www.scalve.it